domenica 12 luglio 2009

Nell’anima del mondo: Ralph Waldo Emerson

Di Stefano Lecchini, “La Gazzetta di Parma”, 25 gennaio 2008

Emerson, il pensatore americano che esaltò la poesia come forza della natura. “Essere poeta” compendia suggestivamente le sue vitalistiche concezioni. Due dei tre saggi contenuti nel volume non erano mai stati tradotti in italiano

Ralph Waldo Emerson non ebbe in sorte di lasciarci versi memorabili – malgrado ciò, lo Spirito della poesia si espresse attraverso di lui per altre strade. Bostonia­no, filosofo, grande conferenziere, oratore e saggista, ex pastore della
Chiesa Unitariana, da cui si staccò per dedicarsi alla predicazione solitaria e itinerante, Emerson è considerato an­cor oggi una delle figure centrali del cosiddetto «Rinascimento america­no» - gli anni e la temperie sono i medesimi di Melville, di Hawthorne, di Thoreau, di Whitman. Moretti&Vitali, nella collana «I volti di Hermes», diretta dal parmigiano Paolo Lagazzi e da Giancarlo Pontiggia, ha appena pubblicato, per la cura di Beniamino Soressi, «Essere poeta», tre saggi, due dei quali finora inediti in italiano (si tratta dei bellissimi e suggestivi «Poe­sia e immaginazione» e «Ispirazio­ne»), in cui il lettore troverà precipi­tato il nucleo di immagini che ha ali­mentato, nei quasi ottant’anni della sua esistenza (1803-1882), la mente di Emerson. Folte di sterminate letture ­da Omero e Platone ai lirici e tragici greci ai latini a Dante, Milton, Sha­kespeare, Cervantes, Montaigne, Rabelais, fino agli amatissimi romantici ­inglesi e ai testi sacri dell’India e della Persia, Emerson crede, con l’amatissimo Swedenborg, che il mondo non sia altro che una costruzione dell’Anima. Tutto è Bellezza, perché l’Anima del Mondo è Bellezza; e tutte le cose, anche le più lontane e divergenti fra loro, partecipano – giacché ne sono incarnazione – di questa Bellezza. Così, non si dà alcuna differenza fra le cose, e fra le parole e le cose. Se tale è lo sfondo, il poeta apparirà dunque come colui che coglie e tra­duce in versi queste infinite relazioni,
ritrovando nel Tutto una fittissima re­te di simboli o analogie o metonimie. La Natura è essa stessa, in primo luo­go, simbolo dell'Anima: ogni cosa sa­rà pertanto collegata per infinite vie alle infinite altre. Ma appunto: solo il Poeta riesce a vedere e a esprimere (“metricamente”, e nel gioco nobilmente infantile delle rime) queste relazioni. Ove l’uomo comune si ferma al dato sensibile, l’immaginazione del Poeta si eleva sopra la bruta e insignificante nudità del fatto (“i fatti”, sentenzierà poi un emersoniana sui generis come Nietzsche, “sono sempre stupidi”): si fa puro sguardo che penetra nello sterminato reticolo delle relazioni, e volge ogni impressione in espressione. Solo in tal modo potremo renderci conto e divenire profondamente parte della stessa Sostanza divina del Mondo: solo in tal modo, come avrebbe intuito, dall’altra parte del mondo, il reverendo Gerald Manley Hopkins, potremo bruciare fino in fondo – ossia fino al rovesciamento supremo dell'estasi – del suo stesso, indimenticabile e incancellabile, Fuoco. E non vi è alcuna libertà in questo: solo la felice obbedienza alle figure ai ritmi che la Natura ci detta. Così è qui, in questi saggi che raccontano l'essenza della poesia, che Emerson trova la sua autentica voce di poeta: ogni riga e bagnata dalla luce, morbida e necessaria, della Bellezza: ogni immagine risponde a un'altra immagine o a infinite altre immagini: ogni ritmo si adegua all'ebbro, incessabile ritmo della Bellezza e dell'Anima.
Anche laddove qualcuno veda soltanto abbrutimento, distacco delle cose dall'armonia divina che le ha generate (erano gli anni in cui le stimmate della rivoluzione industriale cominciavano a sfregiare il «paesaggio» ), il Poeta rinsalda le cose alla natura e al Tutto, «rinsaldando persino le cose artificiali, e le violazioni della natura, alla natura stessa, tramite un’intuizione più profonda». Oggi, 150 anni dopo Emerson, questa fiducia meravigliosamente ingenua nella necessaria relazione di tutte le cose sembra essere andata irrimediabilmente in frantumi. Abitiamo un mondo in cui il simbolico ci si mostra umiliato, degradato, cancellato, letteralmente sfigurato. I miti, oggi, sono perlopiù fenomeni da baraccone. Tutto ci appare irrelato Ma basta che qualcuno cominci a modulare, nella sua voce, nei suoi versi, anche soltanto questa stessa lacerazione, che il vecchio fuoco riprende a bruciare. Questo fuoco ci indica chi simboli sono ancora lì, pronti a essere colti e cantati sotto la cenere che li ha ricoperti: che la nostra anima forse non è ancora diventata cieca e non si è spenta: che fare poesia può essere ancora, malgrado tutto, fare anima.

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