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lunedì 13 luglio 2009

La poesia di Ralph Waldo Emerson

Come essere poeta? Come vivere e abitare poeticamente? Come vivere la poesia, ancor prima di scriverla? I tre saggi sulla poesia, l'immaginazione e l'ispirazione, contenuti in Essere poeta, con due inediti, sono una guida per il poeta, la più lontana da accademismi, pedanterie, formalismi, e la più vicina all’esistenza quotidiana.
L’autore, Ralph Waldo Emerson, è “la figura centrale nella cultura americana”, come dice oggi Harold Bloom, il più celebrato critico letterario statunitense. Emerson: classico della letteratura, filosofo dell’esistenza, poeta, scrittore dell’aria aperta, guida sapienziale del “Rinascimento americano”, profeta di un uomo oltre l’uomo. “Il poeta”, saggio ormai intramontabile, dipinge e profetizza un poeta nuovo. Walt Whitman, ascoltando la conferenza omonima, ne fu rapito. Seguono i due inediti “Poesia e immaginazione”, dove la poesia è definita “la pietà dell’intelletto”; e “Ispirazione”, un altro essenziale passepartout per la vita creativa. Sono saggi alla radice della poetica e del pensiero statunitensi, ma anche – tramite Nietzsche, loro attento lettore – alla base del pensiero contemporaneo in Europa. Leggendoli, si potranno ricordare ora le Lettere a un giovane poeta di Rilke, ora i saggi su poesia, linguaggio e pensiero di Heidegger.

Ralph Waldo Emerson, l’occhio del poeta cambia l’etica civile

di Roberto Mussapi, “Avvenire”, 29 giugno 2008
Escono due libri che raccolgono i saggi del grande autore americano: uno sguardo sulla realtà che diventa giudizio sul proprio tempo e «pensiero politico»

Voleva scrivere un libro «che appare nel mondo solo a lunghi intervalli, o­gni due o tre secoli, forse, e che presto o tardi diviene oggetto del­la considerazione di tutti». L’in­duismo e la tragedia greca, gli e­lisabettiani, Shakespeare e Cer­vantes, i presocratici e gli storici greci e latini, i poeti supremi, Dante e Omero, gli aforistici, Ba­cone e Montaigne: in loro cercò sempre l’identico attraverso il di­verso e l’irrepetibile. Nato a Boston nel 1803, morto nel 1882, Ralph Waldo Emerson, saggista, poeta, scrittore, confe­renziere, è uno dei grandi fonda­tori della letteratura e del pen­siero americani. Tra il 1850 e il 55 uscivano i capolavori di Melville, Thoreu, Whitman, Hawthorne, e i saggi principali di Emerson che animano quel 'Rinascimento a­mericano' che fonda con capo­lavori memorabili una nuova let­teratura, destinata a una vita straordinaria. Non solo la poesia di Whitman e il clima di quel ri­nascimento, ma una delle più vi­tali tradizioni letterarie america­ne discende da Emerson, il qua­le, traducendo sulla pagina il mi­glior repertorio elle proprie con­ferenze, inventa una saggistica pregnante e vitale quanto la vo­ce stessa, in una prosa fluviale, onnicomprensiva e illuminante che affascinerà Nietzsche e Bor­ges. L’aggettivo 'trascendentale' co­niato da Emerson indica la pa­rola capace di cogliere la natura simbolica della cosa, in tal modo riunificandola ulteriormente al­l’anima di cui la cosa è simbolo. Splendida la metafora della vita come «un cerchio il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo» che pare desunta dall’osservazione del miracolo­so crearsi e svanire della forma quando si lancia un sasso in un’acqua ferma. In tale prospettiva, i suoi saggi su Immaginazione, su Intelletto, Storia, Amicizia, Amore, e sulle grandi realtà animiche della vita, vede il dominio del primo saggio citato accanto a quelli sul Poeta, e, appunto, quello intitolato 'Cerchi'. Circolarità, natura co­me manifestazione dell’anima u­niversale, le due polarità che reg­gono il mondo, di cui l’interpre­te eletto è il poeta. Non necessa­riamente o meglio non esclusi­vamente il grande poeta, ma l’uomo che osserva la realtà dal punto di vista della poesia. Ciò che egli fece. Il suo pensiero, fon­damentale nella cultura ameri­cana, e apprezzato da grandi au­tori di altre nazioni, non si è mi­nimante affermato nel nostro paese. Ora escono a breve distanza (può essere indizio positivo) due rac­colte di saggi del grande ameri­cano, Essere poeta, a cura di Be­niamino Soressi (Moretti e Vita­li), e Società e solitudine, a cura di Nadia Urbinati (Diabasis-La gi­nestra). Come indicano piutto­sto chiaramente i titoli si tratta di due raccolte differenti: la prima incentrata su Emerson in rela­zione alla poesia e alla centralità che questa occupa nell’intero spettro del reale. La secondo im­perniata sugli aspetti filosofici e filosofico politici del pensiero e­mersoniano in relazione al suo tempo e agli sviluppi futuri. Si tratta di due lavori precisi, o­gnuno dei quali tende però a i­solare un aspetto dell’opera di un autore la cui caratteristica è la coesistenza di tutte le parti in un un’unità mobile e fluttuante. Ma due segnali importanti per col­mare una grave lacuna, risco­prendo un pensatore fonda­mentale e quanto mai necessa­rio in un tempo disanimato co­me il nostro.

Ralph Waldo Emerson:
ESSERE POETA Moretti e Vitali Pagine 112. Euro 16,00
SOCIETÀ E SOLITUDINE Diabasis-La ginestra Pagine 138. Euro 10,00

domenica 12 luglio 2009

Il viaggio di Ralph Waldo Emerson al termine della poesia

di Mario Andrea Rigoni, "Corriere della Sera", 14 gennaio 2008
I Saggi di Ralph Waldo Emerson (1803-1882) - insieme con Thoreau, Hawthorne, Melville e Whitman una delle grandi figure del cosiddetto «Rinascimento americano» - non sono certo ignoti in Italia, benché non siano neppure tanto conosciuti quanto meriterebbero. Un volume della casa editrice Moretti e Vitali, uscito nella collana diretta da Paolo Lagazzi e Giancarlo Pontiggia, offre adesso al lettore italiano l' occasione di ampliare un poco la conoscenza della teoria letteraria di Emerson riunendo, insieme al noto saggio Il Poeta, due altri, finora inediti da noi, dedicati rispettivamente al rapporto fra poesia e immaginazione e al concetto di «ispirazione». Geniale erede del romanticismo tedesco e inglese, non privo di alcune affinità di pensiero col nostro Leopardi, Emerson vede nella poesia l' essenza stessa della natura e la verità ultima dell' esperienza. Tutto il mondo, al quale il senso comune guarda come a una realtà finale, è invece una vasta rete di tropi che si colgono solo attraverso la «seconda vista» dell' immaginazione, poiché «ogni pensare è un fare analogie, e la vita si vive per imparare la metonimia». Emerson si spinge fino a un' affermazione che volentieri sottoscriviamo: logici, filosofi e critici non sono che poeti falliti. Tali e simili concetti sono illustrati nella prima parte di Rinascimento americano di F.O. Matthiessen: un classico e magnifico libro, la cui traduzione italiana, patrocinata da Cesare Pavese ed eseguita da Franco Lucentini, incomprensibilmente non si ristampa più da decenni. Mario Andrea Rigoni

R. W. EMERSON, Essere poeta, a cura di Beniamino Soressi MORETTI E VITALI PP. 104, 16 €

Ralph Waldo Emerson, il poeta della conoscenza

Gli editori italiani riscoprono il padre del “Rinascimento americano”
Di Renato Cristin, da "Liberal", estate 2008.

Ralph Waldo Emerson (1803-1882), che Nietzsche definì “il pensatore più ricco di idee del secolo”, è uno dei pilastri della filosofia americana e rappresenta una versione che potremmo definire non-analitica di quel pragmatismo che l’ha in gran parte determinata. La nuova traduzione di una delle sue opere fondamentali (Condotta di vita, introduzione di Giorgio Mariani, traduzione e cura di Beniamino Soressi, Rubbettino Editore, 309 pagg., 24 euro) ha il merito di riproporre al lettore italiano l’importanza di un pensatore che appartiene al ristretto novero di quegli scrittori (tra cui Hawthorne, Melville, Thoreau, Whitman, che nei primi anni Cinquanta del Diciannovesimo secolo rappresentarono ciò che è stato chiamato il “Rinascimento Americano”.

Insieme ad altre due recenti e meritorie pubblicazioni (Essere poeta, a cura di B. Soressi, Moretti & Vitali Editori, 103 pagg., 16 euro, Società e solitudine, a cura di Nadia Urbinati, Edizioni Diabasis, 137 pagg., 10 euro), quest’opera può rimediare a una lacuna di ricezione. Infatti, la figura di Emerson è stata poco valorizzata in Italia, sia perché del pensiero americano si è privilegiato il filone in cui si è mosso il pragmatismo, sia perché si è riduttivamente inteso il pensiero di Emerson come una forma di trascendentalismo derivato da quello tedesco e quindi di spessore inferiore all’originale. Tutt’altra è invece la verità su questo pensatore dall’energica visione metafisica e dal dirompente vigore letterario, che amava definirsi in primo luogo come “poeta”.

Egli tentata una mediazione, di fatto ben riuscita, fra un pragmatismo che vuole risolvere i problemi dell’esistenza concreta senza farsi troppo imbrigliare dalle prescrizioni morali e un eticismo che prospetta soluzioni pratiche avendo come riferimento costante i principi morali. La via mediana di Emerson è una filosofia pratica che trae insegnamento sia dalle situazioni della vita sociale sia dalle riflessioni della metafisica, che cerca di conservare un difficile equilibrio fra l’accettazione della potenza naturale e l’esigenza di miglioramento dell’essere umano, come pure fra onnipotenza divina e scelte umane. Il suo è un universo dinamico, il cui movimento è dato dalla tensione fra forze contrapposte (fato e volontà, natura e cultura, pietas e violenza, ecc.), un universo in cui si fondono l’elemento tragico e quello armonico. Sul piano gnoseologico, egli medita nel solco del binomio tracciato da Goethe: “poesia e conoscenza”, poesia come conoscenza, come metafisica: “la poesia è il perpetuo sforzo di esprimere lo spirito della cosa e cercare la ragione che ne causa l’esistenza”. E, come Hölderlin, ritiene che la poesia sia il fondamento del mondo: “ciò che resta, lo fondano i poeti”, recita infatti il verso hölderliniano. Un tributo al di sopra di ogni sospetto alla grandezza del pensatore americano venne da Nietzsche. Nonostante nel 1876 consideri le ultime opere di Emerson come frutto di un pensatore “alquanto invecchiato e troppo innamorato della vita”.

Nietzsche gli ha sempre riconosciuto un forte influsso genealogico sul proprio pensiero, in particolare per quanto riguarda la nozione di volontà di potenza, ritrovando nel filosofo americano quella visione eroica dell’esistenza (“tutte le gesta che han fatto la nostra civiltà erano i pensieri di poche buone menti”, scrive Emerson) che dovrebbe portato alla delineazione nietzschiana dell’übermensch, dell’uomo che trascende i propri limiti per affermarsi nella sua superiorità rispetto sia alla natura sia alla cultura (il caso ha voluto che Emerson morisse nell’anno in cui Nietzsche pubblicata la Gaia scienza). Ma pur essendo un sostenitore dell’aristocrazia spirituale (le masse sono una “calamità” e non devono “essere lusingate ma ammaestrate”), Emerson fu nel contempo un paladino della democrazia sociale. Egli ha teorizzato senza reticenze la tensione dell’uomo verso la potenza individuale e generale, ma fu anche colui che Dewey chiamò “il filosofo della democrazia”.

Recupera la concezione elitaria di Carlyle, secondo cui la storia viene costruita dalle personalità eccezionali, ma la disloca entro una dinamica in cui gli eroi diventano “uomini rappresentativi”, in cui la pura autorità diventa autentica autorevolezza e in cui non ci sono distinzioni né di censo né di razza (celebre fu la sua battaglia per l’abolizione della schiavitù). In questa formale parità di condizioni, chiunque può eccellere, diventare eroe e, quindi, fare la storia. La dura ma feconda tensione tra aristocrazia e democrazia trova un’efficace composizione nella sua visione del capitalismo.

Emerson concepisce in chiave sia economica sia spirituale e in senso eticamente positivo quel modo di produzione che, proprio negli stessi anni (del 1857 è il saggio “per la critica dell’economia politica”, del ’67 la pubblicazione del Capitale), Marx denunciava come l’oppressione dell’uomo sull’uomo e, quindi, come negazione della libertà. Oppositore implicito del marxismo e, quindi, del comunismo prima ancora che esso si manifestasse pienamente, egli replica alla dottrina pauperistica e all’utopia socialistica di Thoreau sostenendo che l’uomo non deve accontentarsi “di una capanna e una manciata di piselli secchi”, e le contrappone una precisa teoria della ricchezza: “l’uomo è nato per essere ricco”, perché la ricchezza implica libertà e felicità. La “domanda di ricchezza” è dunque legittima e, in quanto legata alla ricerca della felicità, necessaria allo sviluppo dell’individuo e dell’umanità. Liberista (“la base dell’economia politica è la non interferenza”) ma non naturalista né tanto meno positivista (dobbiamo liberare il desiderio e “rispettare i fini mentre usiamo i mezzi”), egli ritiene che le virtù del capitalismo siano intrinseche alla crescita del genere umano, perché “la vera prosperità consiste nello spendere sempre su un piano più elevato; nell’investire e investire, così da poter spendere in creazione spirituale”. Perciò “l’uomo dev’essere capitalista”, perché l’accumulazione non è solo sedimentazione economico-materiale, ma accrescimento della potenza, forma primaria dello sviluppo dello spirito. Il reinvestimento degli introiti ha un senso metafisico, perché significa “raccogliere il particolare nel generale”. Il capitale dunque è “forza e spiriti animali”, ma anche “immaginario e pensiero”, come pure “coraggio e perseveranza”.

Quello che oggi in Occidente viene chiamato il capitale immateriale era già stato delineato da Emerson come finalità della crescita: “questo è l’autentico interesse composto; questo è capitale centuplicato; l’uomo elevato alla sua più alta potenza”. In questo senso va intesa la sua esaltazione della forza dei Sassoni e della loro superiorità nell’anima del capitalismo (“da un migliaio d’anni la razza dirigente, per la qualità della loro indipendenza personale e per l’indipendenza economica”). Ma il più germanico dei filosofi statunitensi è al tempo stesso uno dei fondatori dello spirito americano. Due dei caratteri fondamentali di quello spirito – la ricerca della felicità e della ricchezza come finalità dell’agire umano, e la ricerca della sintesi fra individuo e società – sono infatti elaborati ed espressi da Emerson in modo insuperabile.

mercoledì 8 luglio 2009

Poesia di Ralph Waldo Emerson

I tuoi occhi brillavano ancora per me,
anche se vagavo solitario per terra e mare;
come quella lontana stella che vedo,
ma che non vede me.
Stamattina sono salito sulla collina nebbiosa,
ed ho percorso tutti i pascoli,
come brillava la tua forma lungo la mia strada
fra la rugiada dagli occhi profondi!
Quando l'uccello rosso spiegò le scure ali,
e mostrò il suo fianco acceso:
quando il bocciolo maturò in una rosa,
in entrambi io lessi il tuo nome.

traduzione di Teresa Ventrone

La grande poesia di Ralph Waldo Emerson

Opera dello scrittore nordamericano Ralph Waldo Emerson (1803-1882), pubblicata a Boston e Londra nel 1847. Alcune poesie furono ripubblicate nelle raccolte seguenti Giorno di maggio e altre composizioni [May-Day and Other Poems, 1867], Poesie Scelte [Selected Poems] che è il IX vol. della ediz. di tutte le opere del 1876, mentre le poesie escluse da questa raccolta furono pubblicate nel 1912 da Charles C. Bigelow.

In una lettera alla moglie nel 1835 Emerson dice: "io nacqui poeta, senza dubbio un poeta di second'ordine, ma tuttavia poeta. Questa è la mia natura e la mia vocazione. Il mio canto è certamente aspro e per la maggior parte in prosa. Tuttavia io sono un poeta in quanto percepisco e amo le armonie che esistono nella materia e nello spirito e specialmente le corrispondenze tra queste e quelle". È forse la migliore definizione della personalità dello Emerson, nebuloso filosofo e in primo luogo poeta; e poeta di un mondo essenzialmente etico e religioso; che si sentiva destinato a dar voce alle verità della natura e dello spirito e farsene maestro al mondo; trasfigurazione trascendentalista e bostoniana del Romanticismo inglese del Wordsworth e dello Shelley.



Emerson scrisse versi durante tutta la sua vita; molte poesie apparvero nel "Dial", molte furono composte come motto introduttivo alle sue conferenze. "Giorno di maggio", poemetto di circa 500 versi è la identificazione romantica natura - bellezza - elevazione morale dell'uomo.


Da una ispirata descrizione iniziale ("Figlia della Terra e del Cielo, - Primavera ritrosa - Languente di improvvisa passione - Insegna il sorriso a sterili brughiere"), attraverso alti e bassi di lirico abbandono e voluta prosastica freddezza ("La Primavera è forte e virtuosa, - Semina largamente, gaia, con abbondanza - Urge sotto la zolla - Granelli che valgono più dell'oro"), conclude nel momento riflessivo-didattico; la primavera è invocata quale braccio e architetto di Dio, destinata a correggere difetti e ricostruire dalle rovine nella natura e nello spirito dell'uomo ("Passo passo tu inalzi il male al bene - Elevi il bene al meglio - Pianti semi di pura conoscenza" ecc.). Lo stesso schema seguono quasi tutte le poesie di Emerson; qualche volta la riflessione prevale; a volte il momento descrittivo ha particolare rilievo, come per esempio in "Rhodora", che è considerata una delle poesie meglio riuscite, il cui substrato lirico è lo stesso dei "Daffodils" di Wordsworth.
In maggio, quando i venti marini invadono le nordiche solitudini della Nuova Inghilterra, il poeta trova la fresca rhodora nei boschi, che ravviva con la sua bellezza l'acqua degli stagni, se qualcuno dovesse chiedere come mai la grazia di questo fiore sia così sprecata, non vista da nessuno, all'infuori del bosco e del cielo, la risposta sarà questa - dice il poeta - che la Bellezza ha in sé la sua ragione di esistere; egli non sa perché il fiore sia sbocciato in quel luogo, ma nella sua ingenua ignoranza suppone che la medesima divina Potenza progettò quell'incontro del fiore e del poeta. Notevoli la concretezza di ogni particolare, la estrema sobrietà della parte riflessiva e il vivo colore locale.
Questa breve poesia - dice il Matthiessen - potrebbe essere una illustrazione del capitolo "Bellezza" nel saggio "Natura", che comincia con l'affermazione che "la mera percezione delle forme naturali è godimento". Lo stesso concetto tipicamente romantico sta alla base di "Nevicata" ["Snow-Storm"] la cui imperfetta oggettivazione esce a volte in espressioni astratte quali "l'allegra architettura della neve" e "il tumultuoso isolamento (privacy) della tormenta".



In altre composizioni la riflessione si fa ella stessa soggetto di poesia. Un esempio perfettamente riuscito è "Brahma", in cui il concetto dell'eterna presenza del Dio nella natura e nelle azioni degli uomini si alterna con il concetto della irrealtà della esperienza puntuale, per cui non vi è distinzione tra passato e presente, l'ombra e la luce sono la stessa cosa, ritornano gli Dei delle morte religioni e una sola realtà sono la gloria e l'infamia: di qui il nessuno valore della conoscenza e la soluzione del problema umano sul piano etico ("Ma tu, o mite amante del bene! - Trovami, e volgi le spalle al cielo").
Altrettanto simbolica e intensamente poetica "I Giorni" ["Days"], tutta imagini visive; figli del tempo gli ipocriti giorni, come stanchi dervisci muti e assorti, e marciando senza fine in fila indiana, offrono a ciascuno il dono che egli desidera, pane, cielo, stelle, regni. Il poeta nel suo chiuso giardino li vede passare, dimentica i desideri del mattino, in fretta prende poche mele ed erbe, e intanto il giorno volge alla fine e se ne va in silenzio; troppo tardi egli vede lo scherno sotto la sua benda. Il senso della vita sprecata è un vecchio concetto emersoniano; la vita è solo preparazione a vivere perché quando si è in grado di poter vivere pienamente, ecco che viene la fine. È il concetto del saggio "Le Opere e i Giorni" ["Works and Days"], giorni che scivolano via senza concretarsi in opere. Questi versi sorsero nella mente del poeta contemporaneamente alla visione della processione orientale, e a essi si potrebbe applicare la definizione che lo Emerson dà della poesia "Fini involontari raggiunti con mezzi involontari".

Ralph Waldo Emerson, "Natura", 1836: un esordio oceanico

Nature (Da Wikipedia, con integrazioni nuove)

“Una sottile catena d’infiniti anelli
conduce il più vicino al più lontano;
legge presagi l’occhio ove si posa,
e parla ogni lingua la rosa;
e nella brama d’esser’uomo, il verme
sale per tutte le spire della forma.”

Questa è la splendida poesia che Emerson aggiunse a Natura (1836) solo molto più tardi, nel 1849.


Il saggio Nature, pubblicato nel 1836, anche se non fu tra i più letti, contiene in poche pagine gran parte delle idee di Emerson, sulle quali ritornerà nei suoi scritti successivi.
L'opera è costituita da un'introduzione seguita dal testo del saggio vero e proprio, che si suddivide in otto parti:


Nature: qui si presenta l'argomento e si osserva la romantica identificazione della natura con il mondo vegetale.
È divenuto celebre il brano che descrive il sentimento oceanico di unione mistica con la natura: “Stando sulla nuda terra, il capo immerso nell’aria serena e sollevato nell’infinito spazio, ogni meschino egotismo svanisce. Divento un occhio trasparente, non sono niente, vedo tutto; le correnti dell’essere universale circolano attraverso di me; sono una parte o una particella di Dio”.
Christopher Cranch, un geniale artista vicino ai trascendentalisti, volle rappresentare con una forte carica ironica, questo passo, e ne venne fuori la caricatura qui accanto.
Altre sezioni:
Commodity: dove viene elaborata l'idea per cui tutto in natura ha un utilizzo.
Beauty: qui per bellezza, nel significato dato dai Greci, si intende ancora la natura.
Language: il tema è quello del linguaggio della natura.
Discipline: la natura è regolata da discipline, ed essa, a sua volta è disciplinatrice.
Idealism: come conseguenza, agli occhi dell'autore, inevitabile, della contemplazione della natura.
Spirit: la natura come spirito.
Prospect: qui espone le prospettive che si aprono dinanzi a chi intenda instaurare il "rapporto originale con la natura" cui si accennava in apertura del libro.