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lunedì 13 luglio 2009

La poesia di Ralph Waldo Emerson

Come essere poeta? Come vivere e abitare poeticamente? Come vivere la poesia, ancor prima di scriverla? I tre saggi sulla poesia, l'immaginazione e l'ispirazione, contenuti in Essere poeta, con due inediti, sono una guida per il poeta, la più lontana da accademismi, pedanterie, formalismi, e la più vicina all’esistenza quotidiana.
L’autore, Ralph Waldo Emerson, è “la figura centrale nella cultura americana”, come dice oggi Harold Bloom, il più celebrato critico letterario statunitense. Emerson: classico della letteratura, filosofo dell’esistenza, poeta, scrittore dell’aria aperta, guida sapienziale del “Rinascimento americano”, profeta di un uomo oltre l’uomo. “Il poeta”, saggio ormai intramontabile, dipinge e profetizza un poeta nuovo. Walt Whitman, ascoltando la conferenza omonima, ne fu rapito. Seguono i due inediti “Poesia e immaginazione”, dove la poesia è definita “la pietà dell’intelletto”; e “Ispirazione”, un altro essenziale passepartout per la vita creativa. Sono saggi alla radice della poetica e del pensiero statunitensi, ma anche – tramite Nietzsche, loro attento lettore – alla base del pensiero contemporaneo in Europa. Leggendoli, si potranno ricordare ora le Lettere a un giovane poeta di Rilke, ora i saggi su poesia, linguaggio e pensiero di Heidegger.

Ralph Waldo Emerson: esperienze a Napoli

di Stella Cervasio, Repubblica, 13 gennaio 2004

Brutti, sporchi e cattivi i napoletani della prima metà dell' Ottocento. Il rapporto con i turisti stranieri era come possiamo immaginarlo: arrivavano in Italia a caccia di note antropologiche e d' arte. Se ne andavano sconfortati dall' accoglienza, trasognati per l' abbondanza di capolavori. Quando riuscivano a vederli. I diaristi del Grand Tour dovevano affidarsi alla buona sorte, se volevano portare a casa ricordi indimenticabili della terra sognata. Più di una disavventura toccò a Ralph Waldo Emerson, maitre-à-penser del trascendentalismo americano, che si scontrò con chiese chiuse, custodi indolenti, oltre che con i soliti borseggiatori e antenati degli attuali scippatori. Per fortuna ciò non tolse ottimismo al suo pensiero sull'individualismo democratico, che ha tra i capisaldi la fiducia nelle doti dell' uomo. Pastore delle chiesa unitaria a Boston, nel 1832 Emerson lasciò il culto e si mise in viaggio, non ancora trentenne, per l' Italia. Ecco dunque le sue note raccolte nel libro Dalla Sicilia alle Alpi, curato da Marco Sioli per l' editore di scritture di viaggio Ibis, due note-books comprati da Simpkins & Co. a Boston e riempiti uno ogni tre mesi di fittissimi appunti scritti a matita e ripassati con l' inchiostro. Figura volutamente marginalizzata, spiega il curatore, nell' America dell' Ottocento, viene recuperata soprattutto da noi per il bicentenario della nascita (1803), mentre il suo predicare il «diritto alla ribellione» non sarebbe certo ben accolto dagli Stati Uniti dell' era Bush. Il diario parla dei primi sei mesi del 1833. Un catalogo di emozioni e disillusioni. Comincia a Siracusa col lavarsi le mani nella fonte di Aretusa, ascolta l' eco dell' orecchio di Dionigi e dichiara «L' arte è nata in Europa e non attraverserà l' Oceano». La Pop Art gli darà torto. Il 12 marzo il colto americano, provvisto di note geografiche, storico-artistiche e di traduzione in inglese delle unità di misura del Regno, è a Napoli. "Decisamente è una bella città. Ma lo è semplicemente per la sua magnifica posizione e per le sue spiagge, non per lo splendore delle vie o dei palazzi pubblici", annota il 13 marzo. Il giorno dopo sale a San Martino, vede "i bei dipinti audaci di Spagnoletto". Non gli riesce però di ammirare la Deposizione sempre di Ribera "perché quella cappella era chiusa e il guardiano era andato in città". La successiva delusione è alla Tomba di Virgilio: l' atmosfera è rotta da frotte di ragazzi che gridano: "Signore, c'è un mariuolo". Alla Solfatara rifiuta il cane che i custodi gli offrono per sei carlini: lo usavano per dimostrare la presenza dei gas nelle caverne, la povera bestia perdeva i sensi ma fuori si riaveva. Al tempio di Serapide uno cerca di sfilargli dalla tasca "il fazzoletto consunto". L' amore per le rovine va a farsi benedire, "tutti stringono il portafogli con due mani, scappando via". Il giorno appresso gli mostrano la Cappella Sansevero (scrive "Cappella privata della famiglia Severini, dove si trovano le famose statue velate"). Anche al lago d' Averno, Baia, Cuma incontra "orde di ciceroni e mendicanti". Davanti alle rovine di Pompei ed Ercolano, svuotate dai reperti, si chiede se non sarebbe stato meglio lasciarle in situ. I dieci giorni napoletani terminano qui, il filosofo viaggiatore parte per Roma, dove gli appunti parlano più di magnificenze d'arte e meno della fauna cittadina. A Villa Borghese, non disturbato s' innamora finalmente beato di una Madonna di Andrea del Sarto. Ralph Waldo Emerson, Dalla Sicilia alle Alpi, Ibis, euro 9,50.

Ralph Waldo Emerson, l’occhio del poeta cambia l’etica civile

di Roberto Mussapi, “Avvenire”, 29 giugno 2008
Escono due libri che raccolgono i saggi del grande autore americano: uno sguardo sulla realtà che diventa giudizio sul proprio tempo e «pensiero politico»

Voleva scrivere un libro «che appare nel mondo solo a lunghi intervalli, o­gni due o tre secoli, forse, e che presto o tardi diviene oggetto del­la considerazione di tutti». L’in­duismo e la tragedia greca, gli e­lisabettiani, Shakespeare e Cer­vantes, i presocratici e gli storici greci e latini, i poeti supremi, Dante e Omero, gli aforistici, Ba­cone e Montaigne: in loro cercò sempre l’identico attraverso il di­verso e l’irrepetibile. Nato a Boston nel 1803, morto nel 1882, Ralph Waldo Emerson, saggista, poeta, scrittore, confe­renziere, è uno dei grandi fonda­tori della letteratura e del pen­siero americani. Tra il 1850 e il 55 uscivano i capolavori di Melville, Thoreu, Whitman, Hawthorne, e i saggi principali di Emerson che animano quel 'Rinascimento a­mericano' che fonda con capo­lavori memorabili una nuova let­teratura, destinata a una vita straordinaria. Non solo la poesia di Whitman e il clima di quel ri­nascimento, ma una delle più vi­tali tradizioni letterarie america­ne discende da Emerson, il qua­le, traducendo sulla pagina il mi­glior repertorio elle proprie con­ferenze, inventa una saggistica pregnante e vitale quanto la vo­ce stessa, in una prosa fluviale, onnicomprensiva e illuminante che affascinerà Nietzsche e Bor­ges. L’aggettivo 'trascendentale' co­niato da Emerson indica la pa­rola capace di cogliere la natura simbolica della cosa, in tal modo riunificandola ulteriormente al­l’anima di cui la cosa è simbolo. Splendida la metafora della vita come «un cerchio il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo» che pare desunta dall’osservazione del miracolo­so crearsi e svanire della forma quando si lancia un sasso in un’acqua ferma. In tale prospettiva, i suoi saggi su Immaginazione, su Intelletto, Storia, Amicizia, Amore, e sulle grandi realtà animiche della vita, vede il dominio del primo saggio citato accanto a quelli sul Poeta, e, appunto, quello intitolato 'Cerchi'. Circolarità, natura co­me manifestazione dell’anima u­niversale, le due polarità che reg­gono il mondo, di cui l’interpre­te eletto è il poeta. Non necessa­riamente o meglio non esclusi­vamente il grande poeta, ma l’uomo che osserva la realtà dal punto di vista della poesia. Ciò che egli fece. Il suo pensiero, fon­damentale nella cultura ameri­cana, e apprezzato da grandi au­tori di altre nazioni, non si è mi­nimante affermato nel nostro paese. Ora escono a breve distanza (può essere indizio positivo) due rac­colte di saggi del grande ameri­cano, Essere poeta, a cura di Be­niamino Soressi (Moretti e Vita­li), e Società e solitudine, a cura di Nadia Urbinati (Diabasis-La gi­nestra). Come indicano piutto­sto chiaramente i titoli si tratta di due raccolte differenti: la prima incentrata su Emerson in rela­zione alla poesia e alla centralità che questa occupa nell’intero spettro del reale. La secondo im­perniata sugli aspetti filosofici e filosofico politici del pensiero e­mersoniano in relazione al suo tempo e agli sviluppi futuri. Si tratta di due lavori precisi, o­gnuno dei quali tende però a i­solare un aspetto dell’opera di un autore la cui caratteristica è la coesistenza di tutte le parti in un un’unità mobile e fluttuante. Ma due segnali importanti per col­mare una grave lacuna, risco­prendo un pensatore fonda­mentale e quanto mai necessa­rio in un tempo disanimato co­me il nostro.

Ralph Waldo Emerson:
ESSERE POETA Moretti e Vitali Pagine 112. Euro 16,00
SOCIETÀ E SOLITUDINE Diabasis-La ginestra Pagine 138. Euro 10,00

Società e solitudine in Ralph Waldo Emerson

Emerson, Società e solitudine, Reggio Emilia, Diabasis, 2008, pp. 136.
di Anna Cavicchi, Notiziario 648, Anno 2008

I testi di Emerson sono sempre attraversati da una tensione ineludibile tra la fiducia in se stessi (con il bisogno di isolamento avvertito dall'individuo) e le istanze sociali che, soprattutto nel moderno, definiscono l'individuo a partire dalla relazione con l'alterità. Questa tensione si dispiega anche in Società e solitudine (il primo dei saggi qui raccolti, che conferisce il titolo al volume), in Vita e letteratura nel New England e in ognuno degli Essays - Amicizia, Doni, La superanima, Carattere - pubblicati a Boston negli anni Quaranta dell'Ottocento, qui tradotti per la prima volta a cura di Nadia Urbinati. Nonostante lo spirito moderno sia dalla parte dell'individualità, Emerson mostra benevolenza verso i progetti che guardano in direzione della socialità, mettendo però in guardia da eccessi comunitari: l'uomo di «carattere» mira infatti all'autosufficienza, ma su questo fondamento si apre la possibilità di una proficua interazione sociale. Lo sfondo metafisico su cui Emerson inserisce la sua interpretazione del rapporto tra individuo e società è l'idea neoplatonica di una «superanima» in cui l'essere particolare di ogni uomo è contenuto e reso tutt'uno con gli altri.Questa concezione metafisica emersoniana caratterizza anche la sua interpretazione della Rivoluzione americana e degli Stati Uniti: il Nuovo Mondo, a differenza del Vecchio continente, non ha conosciuto l'ordine politico monarchico ma si è costituito in ordine politico come una confederazione repubblicana. Si è trattato dunque di un'unione basata su di una «cooperazione involontaria» o, per dirla con Kant, su di una insocievole socievolezza, non dettata dalla ragione ma da un'anima naturale che nell'agire eccede la portata del singolo: «un giorno vedremo che l'energia più privata è l'energia più pubblica».Questo agire che eccede la portata del singolo si dispiega nell'ombra, come quello che, secondo Emerson, avveniva con il platonico anello di Gige nel momento in cui conferiva il potere dell'invisibilità velando le reali nonché cattive intenzioni degli uomini, altrimenti mascherate nella vita collettiva poiché visibili e suscettibili del giudizio altrui. Emerson riconduce perciò la riflessione sull'azione del singolo in rapporto alla collettività e ne valuta in profondità le ragioni, le relazioni, i doni reciproci, le finalità e il carattere come se l'individuo indossasse l'anello. Dal momento che «la Natura si compiace di porci a metà fra due estremi», Emerson propone una soluzione che concerne l'attitudine dell'individuo a disporsi «sulla diagonale», ossia di stare a metà tra la solitudine e la società.

domenica 12 luglio 2009

Il viaggio di Ralph Waldo Emerson al termine della poesia

di Mario Andrea Rigoni, "Corriere della Sera", 14 gennaio 2008
I Saggi di Ralph Waldo Emerson (1803-1882) - insieme con Thoreau, Hawthorne, Melville e Whitman una delle grandi figure del cosiddetto «Rinascimento americano» - non sono certo ignoti in Italia, benché non siano neppure tanto conosciuti quanto meriterebbero. Un volume della casa editrice Moretti e Vitali, uscito nella collana diretta da Paolo Lagazzi e Giancarlo Pontiggia, offre adesso al lettore italiano l' occasione di ampliare un poco la conoscenza della teoria letteraria di Emerson riunendo, insieme al noto saggio Il Poeta, due altri, finora inediti da noi, dedicati rispettivamente al rapporto fra poesia e immaginazione e al concetto di «ispirazione». Geniale erede del romanticismo tedesco e inglese, non privo di alcune affinità di pensiero col nostro Leopardi, Emerson vede nella poesia l' essenza stessa della natura e la verità ultima dell' esperienza. Tutto il mondo, al quale il senso comune guarda come a una realtà finale, è invece una vasta rete di tropi che si colgono solo attraverso la «seconda vista» dell' immaginazione, poiché «ogni pensare è un fare analogie, e la vita si vive per imparare la metonimia». Emerson si spinge fino a un' affermazione che volentieri sottoscriviamo: logici, filosofi e critici non sono che poeti falliti. Tali e simili concetti sono illustrati nella prima parte di Rinascimento americano di F.O. Matthiessen: un classico e magnifico libro, la cui traduzione italiana, patrocinata da Cesare Pavese ed eseguita da Franco Lucentini, incomprensibilmente non si ristampa più da decenni. Mario Andrea Rigoni

R. W. EMERSON, Essere poeta, a cura di Beniamino Soressi MORETTI E VITALI PP. 104, 16 €

Ralph Waldo Emerson: società e solitudine

di Giovanni Borgognone, da “L’indice”

Romanticismo e americanismo convergono nella riflessione di Ralph Waldo Emerson, dando luogo a una sintesi per molti versi fondamentale nel plasmare il pensiero filosofico e politico statunitense del primo Novecento. È quanto emerge dalla presente raccolta di scritti. Nadia Urbinati, nell'introduzione, descrive opportunamente Emerson come modello di "intellettuale democratico" americano. In effetti, dalle pagine selezionate nel volume per il lettore italiano, affiorano quali tratti distintivi l'esaltazione dell'individuo in connessione organica con la società e la polemica nei confronti del modello europeo di intellettuale, la cui cultura viene disapprovata in quanto libresca e lontana dalla concreta vita sociale: un approccio critico non dissimile da quello sviluppato negli stessi anni dal pragmatismo statunitense. "Socialità e solitudine – dice Emerson – sono nomi ingannevoli"; l'unione delle anime è, sostanzialmente, di natura divina. Qui emerge l'ispirazione prettamente romantica della filosofia di Emerson, improntata alla ricerca dell'infinito nel finito: mentre Fichte la risolveva con l'attività del soggetto infinito, Schelling con l'assoluta indifferenza di soggettività e oggettività e Hegel con l'identità della razionalità e della realtà nella storia, il filosofo americano affronta la medesima questione rintracciando nell'individuo l'anima del tutto, l'eterno Uno, la Superanima. Non c'è barriera o confine, dunque, tra soggetto umano e Dio. Ma questa unione con Dio non nasce dagli artifizi intellettualistici, bensì dalla semplicità e dalla naturalità: in tal modo Emerson, pur riprendendo la filosofia romantica e idealistica europea, ribadisce l'anti-intellettualismo e l'antieuropeismo quali fattori fondamentali dell'americanismo.

"Condotta di vita": Ralph Waldo Emerson, Jorge Luis Borges e Nietzsche

di Gennaro Fucile, da "Quaderni d'altri tempi"

Nella prima delle cinque lezioni tenute all’Università di Belgrano (Buenos Aires), intitolata Il libro, Jorge Luis Borges affermò che: “Emerson concorda con Montaigne sul fatto che dobbiamo leggere ciò che ci piace, che un libro deve essere una specie di felicità”. La lettura dello stesso Emerson conferma la bontà di questa riflessione, essendo fonte di gioia autentica e non solo quando incontriamo il poeta. Immergersi nella sua prosa è concedersi l’autentico piacere della lettura. Non si tratta però di un puro intrattenimento formale. Questi saggi, raccolti in volume e pubblicati originariamente nel dicembre del 1860, e per la prima volta in Italia nel 1923, con il titolo La guida della vita, sono una vera miniera di intuizioni folgoranti. Lo furono anche per Friedrich Nietzsche, che lesse, studiò e metabolizzò non poco Emerson, avvicinandosi, appena diciassettenne, alla “filosofia nella vita”. Bastino, per chi ha familiarità con il filosofo della volontà di potenza, i versi che introducono al saggio intitolato Potenza: “La sua lingua aveva musicalità / e la mano aveva armata d’abilità / il suo viso era stampo della beltà / e il suo cuore trono della volontà”. Zarathustra è dietro l’angolo. Non a caso, sul legame tra i due calò, in pieno fascismo, un assordante silenzio: troppo intollerabile l’idea che proprio l’intellettuale simbolo della libertà, il filosofo della democrazia, solare, ebbro di vita, fosse il maestro occulto di quello che il Terzo Reich aveva eletto a proprio vate e filosofo di riferimento. Una singolarità di quelle che proprio Borges avrebbe amato annotare. Preziosa la ricostruzione accurata delle vicende critiche di questi saggi – nati da materiali utilizzati per una serie di conferenze tenute a Pittsburgh nel 1851 – che in postfazione compie Beniamino Soressi, cui si deve la traduzione di questi testi.




Su questi temi si vedano anche:

Ralph Waldo Emerson, il padre degli USA

Storia di un “filosofo con il megafono” dalla scrittura schietta e clamorosa. Che divenne il vero Cicerone americano

Tutti, volenti o nolenti, passarono da lui, perché lui poteva fare di un comune mortale un Cesare. Riflessioni

di Davide Brullo, da "Il domenicale", anno 2005.

Per fortuna che ogni tanto nasce un Cicerone. Lingua asciutta e schietta, filosofia spiccia. C’interessa ciò che siamo e come andiamo. Il “dove” lo si lasci ai teologi di quart’ordine. E i pensieri iperuranici tutti a Platone, e le sottigliezze minute minute tutte ad Aristotele. A noi garba la filosofica semplicità. Secolo passa secolo, in un passaggio di testimone che più in là di così non può andare, Roma si trasfigura negli States, lungo un impero diversificato ma dalle fondamenta solide che collega New York a Los Angeles e tanta prateria in mezzo. Che assorbe e rifà quanto ha messo a dottrina la Grecia-Europa. A loro, gli europeini verso cui soffriamo ancora di qualche complesso d’inferiorità (i romani buoni prendevano lezione dai greci dopo averli schiacciati), il pensiero pensante, a noi il pensiero che agisce. E gli Usa il loro Cicerone ce l’hanno avuto, e di che schiatta. Ralph Waldo Emerson (1803- 1882), ovvero, il filosofo con il megafono. Che scrive che a leggerlo è come bere ampie sorsate di aureo succo, che parla dai pulpiti di mezza America, che getta pistolettate di pensieri buoni all’uso alla pari di un rappresentante di miracolosi farmaci. Se vuoi capire il genio americano rivolgiti a lui. E comincia a leggere i suoi celebri saggetti radunati ora sotto il titolo Diventa chi sei (sprigionante azione e pionierismo da tutti i pori rispetto al contemplativo e grecissimo “conosci te stesso”) da Stefano Paolucci, che ne fa una curatela ottima e calorosa (Donzelli, Roma 2005, pp.148, e12,50). Amo tutti i tuffatori... Tutti son passati da lui, o quantomeno gli hanno sfiorato la mano. Hawthorne lo stimò assai, la Dickinson, pur sempre distante dai vaniloqui del mondo, probabilmente ci pranzò assieme e assistette a una sua conferenza, nel 1857, l’anno in cui di lei sappiamo pochissimo, se è vera quella frase tramandata dai familiari per cui avrebbe detto che egli, il grande savio degli States, era «come se fosse uscito da dove i sogni sono nati». Inutile dire di Henry D. Thoreau che mette in pratica e per scritto i consigli del maestro, a casa del quale campeggiò più di un giorno. Inutile dire del grandioso Walt Whitman, che fu il Lucrezio di Emerson, nel senso che di questo si direbbe molto meno, come per Epicuro, se non avesse avuto il suo obliquo cantore. Di cui riconobbe immediatamente il talento: fu l’unico, il 21 luglio 1855, a scrivere una lettera di felicitazioni dopo la lettura del “perverso” Foglie d’erba. Pare che però se la ebbe a male quando Walt decise di apporre la lettera a mo’ di preludio alla seconda edizione del libro. Microscopie. Fatto è che dallo stesso arbusto cresce fogliame d’ogni genere. E Melville? Lo gnostico geniale e distrutto dal proprio genio non spartisce niente con nessuno, tranne con Shakespeare e il Testo Sacro (e certe smancerie ad Hawthorne). Una concessione gliela facciamo, però. All’epoca di Mardi, che non fosse per l’impegno critico di Ruggero Bianchi nessuno conoscerebbe in Italia (la sua curatela al libro, esempio raro di precisione analitica e affettiva, fu edita da Mursia, Milano 1987), uno dei libri melvilliani assieme a Pierre che i critigonzi fanno fatica a capire anche oggi che son passati centocinquant’anni, cioè attorno al 1849, Melville scrive a Evert A. Duyckinck, uno dei suoi radissimi amici, che il pensatore «è un grand’uomo », e poi, in altra lettera e più lungamente, fiorisce il discorso così: «Diciamo pure, per amor di discussione, che Emerson sia uno sciocco: in questo caso preferisco essere uno sciocco anziché un saggio. Io amo tutti gli uomini che sanno tuffarsi. Qualsiasi pesce è capace di nuotare in prossimità della superficie; ma ci vuole una grande balena per scendere a cinque miglia e più di profondità». Poi, però, chiude la pratica scrivendo di «non vibrare nell’arcobaleno di Emerson», e abbozzando una spigolosa caricatura del filosofo, definendolo un «Platone che parla nel naso». Sbruffonerie da chi si allena a divenire un santo. Il famosissimo emersoniano Fiducia in se stessi è una specie di manuale per il perfetto yankee. E che i pionieri avrebbero fatto bene a tenersi in saccoccia. Che respiro ampio, che bontà vera. E che sculacciate a quanto non è originariamente umano, e perciò originariamente “americano”. Alle spine i malcelati complessi d’essere poco più che figli bastardi della ricca Europa, «Noi dobbiamo procedere da soli»; «la storia è danno e impudenza se vuol essere qualcosa di più di un ridente apologo o di una parabola del mio essere e del mio divenire». Che preziosi quei diamanti del tipo «insisti su te stesso; non imitare mai», come ci si amplia il petto, e ci s’impilano i muscoli al sentire tali assiomi: «è solo quando un uomo si sbarazza di ogni sostegno a lui estraneo e sta in piedi da solo, che io posso vederlo forte e vincente». Io sono Michael Jordan Curiosità bibliografica svelataci da Paolucci: in epoca fascista, in cui imperava il training autogeno, Emerson era dato in pappa agli scolaretti. E chi non vorrebbe come maestro uno che, siamo alle Leggi spirituali, ti tirava su il morale dicendoti che «questa sopravvalutazione delle possibilità di Paolo e di Pericle, questa sottovalutazione delle nostre personali possibilità deriva dal trascurare il fatto che esiste una natura identica». Il sangue che scorre in questa vena è lo stesso che scorreva in Eschilo e Cesare, in Napoleone e in Michael Jordan. Emerson sembra uno di quegli allenatori stravincenti, un Pat Riley, un Fabio Capello, che sanno come galvanizzare i propri (chi non lo sa che il distacco tra il primo e il secondo non è nelle gambe ma nella testa?). Del tipo, ragazzi, qui, ora, adesso, come mai prima, lottiamo per l’eternità. Che bello un tempo in cui matematicamente funzionava la regoletta per cui «se un uomo sa di saper fare qualcosa, e sa di poterla fare meglio di chiunque altro, egli ha la garanzia che tutti quanti riconosceranno questo fatto». Mentre oggi tutto dipende da “cosa” sai fare, e c’è un tale pasticcio d’idee per cui a mala pena si riesce a riconoscerla un’opera di genio. Ma lì, nel tempo emersoniano, nel tempo del sogno americano e di una frontiera ricca di scoperte «un uomo è considerato per quel che vale. Ciò che egli è sta inciso a lettere di fuoco sul suo volto, sulla sua forma, sulle sue esperienze. Né il celarsi né il vantarsi gli servono a nulla». E così il lavoro maieutico del sapiente Ralph resta inciso nelle pagine del suo diario, in una riga del 1839: «Inviterò gli uomini immersi nel tempo a ritrovare se stessi e ad uscire dal tempo per gustare la loro nativa aria immortale». Che bello, pare di ringiovanire, iscriviamoci alla Setta dei Poeti Estinti, rivediamoci L’attimo fuggente di Peter Weir, con i marmocchi che vogliono una vita silvestre come Thoreau, e berciano mimando Emerson, e canticchiano come il barbuto Walt «O Capitano! mio Capitano! il nostro viaggio tremendo è finito,/ La nave ha superato ogni tempesta, l’ambito premio è vinto ». I tempi del sogno americano. Presto abortiti. Già l’energia galvanizzante ed emersoniana di Melville è votata a scrutare il maligno. Con gli altri è rovina. Faulkner, Caldwell e i “perduti” intaccano all’osso l’allegria dei pionieri. Il sogno s’è fatto incubo. L’unico emersoniano fino al caramello, prosa larga, pelagica, divorante anche l’oscurità è Thomas Wolfe. Semplicemente, il demonio Per Robert Penn Warren, appuntito critico d’America, ma soprattutto poeta non da poco e perciò introvabile nei banconi di casa nostra, Emerson, glielo aveva suggerito Allen Tate, era semplicemente il demonio. E ci credo, con quell’idea che anticipa la New Age per cui ogni testo sacro è sacro, che il dio è il dio di tutti e che Ralph chiama con il nomignolo di “Over- Soul”, cioè superanima, che leggi la Bibbia o il Corano o i Veda e in entrambi vedrai la verità, e che il dio semmai lo trovi da te senza nessun parroco che t’imbocchi a proposito... ce n’è da far saltar per aria non solo i bacchettoni. Quella fiducia, poi, che spazzava la tradizione tutta, faceva tremare le ginocchia (e se ne abusò, a destra come a sinistra). E quella balorda idea della Compensazione, invero lo sforzo filosofico più acuto di Emerson e di più larga gestazione, per cui «ogni atto reca in sé la propria ricompensa, o, in altre parole, integra se stesso», cioè: «colui che compie una buona azione ne è immediatamente nobilitato. Colui che compie un’azione meschina è limitato dall’azione stessa. Colui che si spogli dell’impurità si veste conseguentemente di purità. Se un uomo è giusto nel profondo dell’animo, nella misura in cui lo è, egli sarà allora Dio: la salvezza di Dio, l’immortalità di Dio, la maestà di Dio entrano in quell’uomo con la giustizia»? Le cose partono da lontano, dall’8 febbraio 1831. A diciannove anni Ellen Louisa Tucker, con cui un Emerson in attesa di diventare Emerson si era sposato un anno e mezzo prima, muore. È la batosta che inaugura una nuova vita. Alla base del retto conoscere c’è un grave dolore direbbe Eschilo. In questo caso il dolore viene assorbito velocissimamente, almeno all’apparenza. Due ore dopo la morte di Ellen, Ralph scrive alla zia paterna Mary Moody Emerson una lettera di questo tipo: «Il mio angelo è andato in cielo questa mattina & io sono solo al mondo & stranamente felice». Pensare è agire avrebbe detto di lì a poco il famosissimo conferenziere. Dalle parole ai fatti. Liberatosi (si fa per dire) della moglie, Emerson salpa per l’Europa, ci fa i conti, e torna vincitore e pieno di grandi idee negli States. In Compensazione scrive: «La morte di un caro amico, di una moglie, di un fratello, di una persona che amiamo, che all’inizio non sembrava altro che privazione, più tardi assume l’aspetto di una guida o buon genio; poiché tali eventi operano solitamente delle rivoluzioni nel nostro modo di vivere, terminano un’epoca di infanzia o di giovinezza che aspettava solo di essere chiusa, mandano all’aria un’occupazione abituale, o l’unità della famiglia, o uno stile di vita, e ne permettono la formazione di nuovi, più adatti alla crescita del carattere ». Già, magari per spiriti dotti e ampi come quelli di Emerson. Ma a noi eterodossi la cosa fila poco, siam più desti a vedere come degli idioti quelli che in vita sperano che il maltolto gli verrà restituito. E poi, caro Ralph Waldo, creatore di una beata scappatoia, non è che così si risolvono gli interrogativi di Giobbe o di Davide. A lezione da Shakespeare L’uomo che vedeva nel genio di Shakespeare il precursore del genio americano, sublime condottiero dell’europeità ma pure alfiere di ciò che sarebbe sorto, per cui «Shakespeare è escluso dalla categoria degli autori eminenti quanto lo è dalla folla. È inconcepibilmente saggio, gli altri lo sono concepibilmente. Un buon lettore può, fino a un certo punto, rannicchiarsi nel cervello di Platone e pensare da lì, ma non in quello di Shakespeare. Siamo ancora fuori. In termini di facoltà esecutiva, di creazione, Shakespeare è unico», quest’uomo così accorto non seppe vedere il genio che scandaglia il male (un male inestirpabile, incoerente, necessario) del sommo inglese. O non lo volle vedere. Ergo: non è che Riccardo III sia una scolaretta che va per margherite. Pietà per Emerson, non è degli uomini sapere e vedere ogni cosa. Un uomo come Ralph, un uomo che ci riconcilia con il mondo, facendo slalom tra pensierini foderati d’oro che fanno il verso alla sapienza orientale (parafrasi dalla Bhagavad-gita: «Azione e inazione sono uguali al cospetto del vero») è foriero d’indicazioni letterarie che spesso non mancano il bersaglio. Questa, ad esempio, adatta a rimettere in riga i critigonzi e gli aspiranti scrittorelli: «Non esiste fortuna nella reputazione letteraria. Chi emette il verdetto finale nei confronti di ogni libro non sono i parziali e rumorosi lettori del momento in cui esso viene pubblicato, ma una corte di angeli, un pubblico che non può essere né corrotto, né supplicato e né intimidito decide sul titolo alla fama di ogni uomo. Quaggiù arrivano solo quei libri che meritano di durare». In faccia a chi pensa che un libro è di peso perché ha sbancato il banco delle vendite. Poi, sia chiaro, anche il padre della patria Ralph pecca di troppa fiducia nei propri mezzi. Ad esempio quando dice che valoroso scrittore è colui che scrive direttamente dal “cuore”, in verità e adesione a se stesso. Così, al limite, si potrà scrivere un buon diario di bordo. Il cuore andrà limato almeno con la mente. Che Emerson ripassi il suo eroico Shakespeare.

Ralph Waldo Emerson, il poeta della conoscenza

Gli editori italiani riscoprono il padre del “Rinascimento americano”
Di Renato Cristin, da "Liberal", estate 2008.

Ralph Waldo Emerson (1803-1882), che Nietzsche definì “il pensatore più ricco di idee del secolo”, è uno dei pilastri della filosofia americana e rappresenta una versione che potremmo definire non-analitica di quel pragmatismo che l’ha in gran parte determinata. La nuova traduzione di una delle sue opere fondamentali (Condotta di vita, introduzione di Giorgio Mariani, traduzione e cura di Beniamino Soressi, Rubbettino Editore, 309 pagg., 24 euro) ha il merito di riproporre al lettore italiano l’importanza di un pensatore che appartiene al ristretto novero di quegli scrittori (tra cui Hawthorne, Melville, Thoreau, Whitman, che nei primi anni Cinquanta del Diciannovesimo secolo rappresentarono ciò che è stato chiamato il “Rinascimento Americano”.

Insieme ad altre due recenti e meritorie pubblicazioni (Essere poeta, a cura di B. Soressi, Moretti & Vitali Editori, 103 pagg., 16 euro, Società e solitudine, a cura di Nadia Urbinati, Edizioni Diabasis, 137 pagg., 10 euro), quest’opera può rimediare a una lacuna di ricezione. Infatti, la figura di Emerson è stata poco valorizzata in Italia, sia perché del pensiero americano si è privilegiato il filone in cui si è mosso il pragmatismo, sia perché si è riduttivamente inteso il pensiero di Emerson come una forma di trascendentalismo derivato da quello tedesco e quindi di spessore inferiore all’originale. Tutt’altra è invece la verità su questo pensatore dall’energica visione metafisica e dal dirompente vigore letterario, che amava definirsi in primo luogo come “poeta”.

Egli tentata una mediazione, di fatto ben riuscita, fra un pragmatismo che vuole risolvere i problemi dell’esistenza concreta senza farsi troppo imbrigliare dalle prescrizioni morali e un eticismo che prospetta soluzioni pratiche avendo come riferimento costante i principi morali. La via mediana di Emerson è una filosofia pratica che trae insegnamento sia dalle situazioni della vita sociale sia dalle riflessioni della metafisica, che cerca di conservare un difficile equilibrio fra l’accettazione della potenza naturale e l’esigenza di miglioramento dell’essere umano, come pure fra onnipotenza divina e scelte umane. Il suo è un universo dinamico, il cui movimento è dato dalla tensione fra forze contrapposte (fato e volontà, natura e cultura, pietas e violenza, ecc.), un universo in cui si fondono l’elemento tragico e quello armonico. Sul piano gnoseologico, egli medita nel solco del binomio tracciato da Goethe: “poesia e conoscenza”, poesia come conoscenza, come metafisica: “la poesia è il perpetuo sforzo di esprimere lo spirito della cosa e cercare la ragione che ne causa l’esistenza”. E, come Hölderlin, ritiene che la poesia sia il fondamento del mondo: “ciò che resta, lo fondano i poeti”, recita infatti il verso hölderliniano. Un tributo al di sopra di ogni sospetto alla grandezza del pensatore americano venne da Nietzsche. Nonostante nel 1876 consideri le ultime opere di Emerson come frutto di un pensatore “alquanto invecchiato e troppo innamorato della vita”.

Nietzsche gli ha sempre riconosciuto un forte influsso genealogico sul proprio pensiero, in particolare per quanto riguarda la nozione di volontà di potenza, ritrovando nel filosofo americano quella visione eroica dell’esistenza (“tutte le gesta che han fatto la nostra civiltà erano i pensieri di poche buone menti”, scrive Emerson) che dovrebbe portato alla delineazione nietzschiana dell’übermensch, dell’uomo che trascende i propri limiti per affermarsi nella sua superiorità rispetto sia alla natura sia alla cultura (il caso ha voluto che Emerson morisse nell’anno in cui Nietzsche pubblicata la Gaia scienza). Ma pur essendo un sostenitore dell’aristocrazia spirituale (le masse sono una “calamità” e non devono “essere lusingate ma ammaestrate”), Emerson fu nel contempo un paladino della democrazia sociale. Egli ha teorizzato senza reticenze la tensione dell’uomo verso la potenza individuale e generale, ma fu anche colui che Dewey chiamò “il filosofo della democrazia”.

Recupera la concezione elitaria di Carlyle, secondo cui la storia viene costruita dalle personalità eccezionali, ma la disloca entro una dinamica in cui gli eroi diventano “uomini rappresentativi”, in cui la pura autorità diventa autentica autorevolezza e in cui non ci sono distinzioni né di censo né di razza (celebre fu la sua battaglia per l’abolizione della schiavitù). In questa formale parità di condizioni, chiunque può eccellere, diventare eroe e, quindi, fare la storia. La dura ma feconda tensione tra aristocrazia e democrazia trova un’efficace composizione nella sua visione del capitalismo.

Emerson concepisce in chiave sia economica sia spirituale e in senso eticamente positivo quel modo di produzione che, proprio negli stessi anni (del 1857 è il saggio “per la critica dell’economia politica”, del ’67 la pubblicazione del Capitale), Marx denunciava come l’oppressione dell’uomo sull’uomo e, quindi, come negazione della libertà. Oppositore implicito del marxismo e, quindi, del comunismo prima ancora che esso si manifestasse pienamente, egli replica alla dottrina pauperistica e all’utopia socialistica di Thoreau sostenendo che l’uomo non deve accontentarsi “di una capanna e una manciata di piselli secchi”, e le contrappone una precisa teoria della ricchezza: “l’uomo è nato per essere ricco”, perché la ricchezza implica libertà e felicità. La “domanda di ricchezza” è dunque legittima e, in quanto legata alla ricerca della felicità, necessaria allo sviluppo dell’individuo e dell’umanità. Liberista (“la base dell’economia politica è la non interferenza”) ma non naturalista né tanto meno positivista (dobbiamo liberare il desiderio e “rispettare i fini mentre usiamo i mezzi”), egli ritiene che le virtù del capitalismo siano intrinseche alla crescita del genere umano, perché “la vera prosperità consiste nello spendere sempre su un piano più elevato; nell’investire e investire, così da poter spendere in creazione spirituale”. Perciò “l’uomo dev’essere capitalista”, perché l’accumulazione non è solo sedimentazione economico-materiale, ma accrescimento della potenza, forma primaria dello sviluppo dello spirito. Il reinvestimento degli introiti ha un senso metafisico, perché significa “raccogliere il particolare nel generale”. Il capitale dunque è “forza e spiriti animali”, ma anche “immaginario e pensiero”, come pure “coraggio e perseveranza”.

Quello che oggi in Occidente viene chiamato il capitale immateriale era già stato delineato da Emerson come finalità della crescita: “questo è l’autentico interesse composto; questo è capitale centuplicato; l’uomo elevato alla sua più alta potenza”. In questo senso va intesa la sua esaltazione della forza dei Sassoni e della loro superiorità nell’anima del capitalismo (“da un migliaio d’anni la razza dirigente, per la qualità della loro indipendenza personale e per l’indipendenza economica”). Ma il più germanico dei filosofi statunitensi è al tempo stesso uno dei fondatori dello spirito americano. Due dei caratteri fondamentali di quello spirito – la ricerca della felicità e della ricchezza come finalità dell’agire umano, e la ricerca della sintesi fra individuo e società – sono infatti elaborati ed espressi da Emerson in modo insuperabile.

mercoledì 8 luglio 2009

Altri saggi, conferenze, e poesie di Ralph Waldo Emerson

Saggi, conferenze, versi (da Wikipedia)

Nel 1847 Emerson dava alle stampe un primo volume di versi e nel 1849 raccoglieva nel volume Nature, Addresses and Lectures il saggio di tredici anni prima e un certo numero di conferenze e discorsi.


Nel 1850 pubblicava Representative Men, nel 1856, English Traits, nel 1860 la fondamentale raccolta di saggi Condotta di vita. Secondo Harold Bloom “l'Emerson più forte è quello dei saggi di Condotta di vita, […] dove stabilisce un ultimo lavoro cruciale per gli americani, in particolare con una grande triade di saggi, “Fato”, “Potenza”, “Illusioni”." Questa raccolta influì in modo decisivo su Nietzsche, che già intorno ai diciotto anni voleva scriverne un riassunto da distribuire ai suoi amici e che ne compendiò i contenuti essenziali nei saggi "Fato e storia" e "Volontà e fato".


Del 1862 è Thoreau, un elogio per Henry David Thoreau e nel 1867 esce un secondo volume di versi, May Day.
Tra gli altri scritti in versi si ricorda Threnody, scritta per la morte del piccolo Waldo, The Rhodora, sull'origine divina dei fiori, Works and Days, una tra le più significative, The Humble-Bee (Il bombo), Fable, apologo della montagna e dello scoiattolo, e il noto Concord-Hymn (dal quale si ricorda la frase "The shot heard round the world").

La letteratura in versi di Emerson costituisce una parte non trascurabile della sua opera.
La sua poesia è prevalentemente gnomica e didattica, manca spesso l'incanto melodico, eppure essa presenta alcune immagini che si scolpiscono nella mente e che fanno figurare Emerson come uno che ha senza dubbio apportato un contributo fondante alla poesia americana.

Un'altra opera di primaria importanza è Society and Solitude, del 1870 (tr. it. parziale in Realizzare la vita, 2006), che include interessanti riflessioni sull'abitare, la tecnica, il tempo, le quali richiamano spesso - come anche i saggi sulla poesia - tematiche e posizioni heideggeriane (benché in tutt'altro stile rispetto al pensatore tedesco).


Esistono molti altri fra i suoi ultimi saggi che rivestono un certo interesse, per esempio "The Comic", con la sua teoria dell'umorismo.

Lo studioso americano, di Ralph Waldo Emerson

"The American Scholar" (da Wikipedia)
È questo un discorso tenuto il 31 agosto 1837 per la "Phi Beta Kappa, Society" di Cambridge, Massachussetts e definito da Oliver Wendel Holmes "la nostra Dichiarazione d'Indipendenza intellettuale".

Questo saggio, insieme ad altri importanti saggi di Emerson, è stato ripubblicato di recente a cura del professor V. Amoruso, dell'Università di Bari.
"Lo studioso americano e altri saggi", 2006, ed. B. A. Graphis, 142 p., € 12,00.