venerdì 10 luglio 2009

L’ombra di Ralph Waldo Emerson influenzò Nietzsche

Torna il classico «Condotta di vita»

di Paola Capriolo (Corriere della Sera, 09.09.2008)

Non più tradotta in Italia dal 1923 e ora riproposta in una nuova edizione a cura di Beniamino Soressi (Rubbettino, pp. 310, e 24), Condotta di vita di Ralph Waldo Emerson occupa una posizione di particolare rilievo non solo nella bibliografia del suo autore, ma nella storia del pensiero: quest’opera pubblicata nel 1860 dal padre del trascendentalismo americano ebbe infatti la ventura di capitare tra le mani di un diciassettenne tedesco di nome Friedrich Nietzsche e di esercitare un notevole influsso sulle sue prime speculazioni filosofiche. Influsso che, secondo Soressi, rimarrebbe determinante anche per il Nietzsche maturo, le cui teorie troverebbero nelle pagine di Emerson anticipazioni significative.
In effetti, le affinità saltano agli occhi: nei saggi scintillanti di humour e vibranti di accensioni poetiche che compongono Condotta di vita non è difficile veder prefigurate molte tra le idee più caratteristiche del grande filosofo di Sils Maria, da quell’eroico amor fati di cui egli avrebbe fatto anni dopo la sua divisa, alla dottrina del superuomo («Questi milioni li chiamiamo uomini, ma non lo sono ancora. Interrato per metà, scalpitando per esser libero, l’uomo ha bisogno di tutta la musica che si può portargli per estrarlo»), sino al disprezzo delle masse o alla diffidenza per la compassione intesa come forza frenante e ostacolo allo sviluppo. Ma soprattutto, ad accomunarli è la tesi fondamentale che la vita sia «una ricerca della potenza», e che la legge di questa potenza consista nel tendere al proprio infinito accrescimento.
Sarà perché dalle due sponde dell’Atlantico entrambi descrivono lo stesso mondo, quello della tecnica, della modernità giunta al suo pieno dispiegamento, della rivoluzione industriale che proprio allora andava incontro a una vertiginosa accelerazione; ed entrambi possono essere considerati come interpreti, cantori, «giustificatori» filosofici di questo mondo. Nietzsche in modo più sottile e costantemente venato di ambiguità regressive; Emerson con una rude schiettezza tutta americana, come dimostra la sua esaltazione quasi candida della ricchezza, della corsa al profitto, di quella razza di uomini «arditi e duri», traboccanti di un sovrappiù di energie, che hanno «teste piene di martelli a vapore, pulegge, manovelle e ruote dentate» e grazie ai quali «ogni cosa inizia a risplendere di valori».
Qui però le analogie finiscono per lasciare il posto alla più abissale differenza, perché Emerson, pur proclamando che la potenza «non si veste di satin» e tende a calpestare con libertà selvaggia tutti i nostri pregiudizi di uomini civilizzati, non ha il minimo dubbio che essa finirà col trovarsi «in armonia con le leggi morali ». Ai suoi occhi di strenuo conciliatore il male stesso è semplicemente «il bene nel suo farsi», e nonostante ogni apparenza contraria «l’ordine e la sincerità dell’Universo sono assicurati da Dio, che delega la sua divinità ad ogni particella ». Insomma, Emerson è uno degli ultimi e a tratti dei più ingenui epigoni di quella visione risalente a Platone secondo la quale l’universo si dice cosmos e non acosmía, ordine e non caos, mentre l’importanza cruciale di Nietzsche nella storia del pensiero sta precisamente nell’aver respinto con determinazione tale antichissimo presupposto.
Da questa antitesi essenziale discendono tutte le altre, compresa l’opposta collocazione politica dei due pensatori: «reazionario » Nietzsche, decisamente progressista Ralph Waldo Emerson, tanto da battersi contro la schiavitù schierandosi al fianco degli abolizionisti e da venir considerato dalla posterità come «il filosofo della democrazia». Se il primo ci inquieta, dalla lettura del secondo si esce, almeno nelle sue intenzioni, profondamente rassicurati, e se l’uno parlerà sempre al cuore di tutti gli apocalittici, dall’altro trarranno conforto quanti si ostinano a sperare ancora nell’inevitabile trionfo del bene.




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