di Stefano Paolucci
«Vi è nell'anima dell'uomo la persuasione che egli è qui per una causa, che fu posto quaggiù dal Creatore per compiere l'opera a cui esso lo ispira, e che quindi egli è superiore a ogni antagonista che potrebbe mettersi in combutta contro di lui.» Parola di Ralph Waldo Emerson. Lo scriveva nel bellissimo saggio sul "Coraggio"
contenuto nel volume Society and Solitude (1870), uno degli ultimi che pubblicò. Personalmente mi ricorda un motto latino derivato dall'Epistola ai Romani di San Paolo: Si Deus pro nobis, quis contra nos? In buona sostanza, Emerson ha proclamato questa idea per tutta la vita, sia dalle pagine dei suoi libri che dal podio del conferenziere. Un'idea che non nasceva nell'algido regno della creazione intellettuale, né proveniva dal tiepido limbo del prestito accademico, ma era l'ardente irradiazione della propria quotidiana esperienza dell'anima e della sua complice unione con la fonte divina. Per questo è sopravvissuta. E per questo desta ancora interesse.Un interesse, bisogna dire, che si è risvegliato particolarmente in Italia negli ultimi tempi. Il letargo è durato fino all'anno del bicentenario del filosofo americano, nato a Boston nel 1803 e morto a Concord nel 1882. Risale infatti al 2003 l'uscita di due titoli, presso l'editore Ibis di Como, che hanno dato il via a una serie di pubblicazioni di e su Emerson che si stanno dimostrando sempr
e più valide e interessanti. L'anno successivo Beniamino Soressi, giovane ricercatore universitario e valente traduttore, dà alle stampe la sua tesi sul pensiero filosofico di Emerson: Ralph Waldo Emerson. Il pensiero e la solitudine (Armando). Nel 2005 è il mio turno con la curatela del volume Diventa chi sei (Donzelli), in cui ho voluto ri-unire, come in un vademecum, tre saggi essenziali di Emerson: "Fiducia in se stessi", "Compensazione", "Leggi spirituali" [il libro è disponibile nelle nostre biblioteche, ndr]. Nel 2006 sboccia un aut
entico florilegio emersoniano nella nostra lingua. Con Lo studioso americano e altri saggi (B.A. Graphis), Vito Amoruso - il quale negli Anni '60 ebbe il merito di tradurre per la prima volta in italiano una ricca selezione dai diari di Emerson - ripesca quattro scritti già noti mettendo in luce la «forma rapsodica» del saggismo di Emerson: quella sua voce che è sempre chiamata a esprimere un transito, un passaggio, un cambiamento, dove risiede la vera forza dell'uomo e dove si svela il suo carattere. E La sfida del carattere. Nietzsche lettore di Emerson (Editori Riuniti) è una vera rivelazione del 2006, di cui è autrice Benedetta Zavatta, un'altra giovane ricercatrice e traduttrice «con i numeri». Con questo studio appassionato quanto rigoroso - e, a mio avviso, destinato a diventare un testo di riferimento in lingua italiana (esemplare il capitolo "Il cerchio della necessità") - l'autrice dimostra come l'«amicizia stellare» tra Nietzsche e il saggista americano, durata
oltre venticinque anni, investa gli assi portanti della filosofia nietzscheana e ne scandisca le tappe fondamentali, mostrando in tutta la sua ampiezza una relazione la cui importanza è stata per lungo tempo sottaciuta; al tempo stesso, la lettura nietzscheana aiuta a scoprire un lato inedito di Emerson, scettico e pragmatista, arricchendo il volto «eroico» della sua filosofia e liberandola dallo stereotipo di un superficiale ottimismo. Beniamino Soressi torna a occuparsi di Emerson curando Realizzare la vita. Saggi da Society and Solitude (Il Prato), che contiene quattro saggi inediti in italiano e quattro ritradotti dopo quasi un secolo, tra cui, appunto, "Coraggio". La questione che questa raccolta vuole sollevare riguarda da vicino il nostro quotidiano, ed è: come realizzare la vita, sia affermandola nelle azioni e nelle concezioni, sia apprezzandone la pienezza nelle percezioni? Si inizi col leggere il saggio sul "Successo"... Sul finire del 2007 Soressi cambia casa editrice ma non l'oggetto del suo interesse; per i tipi di Moretti&Vitali, cura Essere poeta, contenente due saggi di Emerson mai tradotti in italiano - "Poesia e immaginazione" e "Ispirazione" - più il celebre saggio "Il poeta". "Poesia e immaginazione" è uno dei pezzi più brillanti dell'ultimo Emerson, in cui definisce la sua poetica e approfondisce il concetto di poesia studiando da dove essa scaturisce. Con "Ispirazione", invece, riflette sull'origine del poetare ed offre persino un decalogo di consigli pratici («La salute è la prima musa»... ). Infine è di questi mesi l'uscita di un delizioso volumetto, a cura di Nadia Urbinati, in cui sono raccolti sei saggi provenienti da opere diverse di Emerson, e quindi risalenti anche ad epoche
diverse, che hanno in comune il desiderio di mostrare e far cogliere il delicato equilibrio che Emerson ha sempre di più stabilito tra istanze sociali e fiducia in se stessi, tra il bisogno di comunicare e condividere e l'esigenza di isolamento e concentrazione. Società e solitudine, questo il titolo del libro pubblicato da Diabasis, nasce in seno a una nuova collana - La Ginestra - che si propone di raccogliere i classici dell'«individualismo solidale», per (di)mostrare che l'autentico individualismo non significa affatto "egoismo" ma l'esatto contrario, e che la coesione della società non confligge ma va di pari passo con la cura di sé di individui emancipati, ovvero più consapevoli. Emerson pone tutto ciò su uno sfondo metafisico dove è preminente l'idea neoplatonica di una "Superanima" (altro celebre saggio-manifesto presente nel libro) in cui l'essere particolare di ogni uomo è contenuto e reso tutt'uno con gli altri.Mi piace concludere questa breve rassegna citando proprio dal saggio che dà il titolo a questo libro, "Società e solitudine", in cui Emerson, ormai anziano, risolve così il conflitto esistenziale che forse più di tutti, e da sempre, agita l'animo umano: «La solitudine è impraticabile e la socialità è fatale. Dobbiamo tenere la testa nell'una e le mani nell'altra. La condizione per riuscirci è conservare la nostra indipendenza senza perdere la simpatia».Essere, appunto, solidalmente individualisti.
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Self Reliance. La fiducia in se stessi, A cura di Marco Sioli, Ibis, Como 2003
Dalla Sicilia alle Alpi
contenuto nel volume Society and Solitude (1870), uno degli ultimi che pubblicò. Personalmente mi ricorda un motto latino derivato dall'Epistola ai Romani di San Paolo: Si Deus pro nobis, quis contra nos? In buona sostanza, Emerson ha proclamato questa idea per tutta la vita, sia dalle pagine dei suoi libri che dal podio del conferenziere. Un'idea che non nasceva nell'algido regno della creazione intellettuale, né proveniva dal tiepido limbo del prestito accademico, ma era l'ardente irradiazione della propria quotidiana esperienza dell'anima e della sua complice unione con la fonte divina. Per questo è sopravvissuta. E per questo desta ancora interesse.Un interesse, bisogna dire, che si è risvegliato particolarmente in Italia negli ultimi tempi. Il letargo è durato fino all'anno del bicentenario del filosofo americano, nato a Boston nel 1803 e morto a Concord nel 1882. Risale infatti al 2003 l'uscita di due titoli, presso l'editore Ibis di Como, che hanno dato il via a una serie di pubblicazioni di e su Emerson che si stanno dimostrando sempr
e più valide e interessanti. L'anno successivo Beniamino Soressi, giovane ricercatore universitario e valente traduttore, dà alle stampe la sua tesi sul pensiero filosofico di Emerson: Ralph Waldo Emerson. Il pensiero e la solitudine (Armando). Nel 2005 è il mio turno con la curatela del volume Diventa chi sei (Donzelli), in cui ho voluto ri-unire, come in un vademecum, tre saggi essenziali di Emerson: "Fiducia in se stessi", "Compensazione", "Leggi spirituali" [il libro è disponibile nelle nostre biblioteche, ndr]. Nel 2006 sboccia un aut
entico florilegio emersoniano nella nostra lingua. Con Lo studioso americano e altri saggi (B.A. Graphis), Vito Amoruso - il quale negli Anni '60 ebbe il merito di tradurre per la prima volta in italiano una ricca selezione dai diari di Emerson - ripesca quattro scritti già noti mettendo in luce la «forma rapsodica» del saggismo di Emerson: quella sua voce che è sempre chiamata a esprimere un transito, un passaggio, un cambiamento, dove risiede la vera forza dell'uomo e dove si svela il suo carattere. E La sfida del carattere. Nietzsche lettore di Emerson (Editori Riuniti) è una vera rivelazione del 2006, di cui è autrice Benedetta Zavatta, un'altra giovane ricercatrice e traduttrice «con i numeri». Con questo studio appassionato quanto rigoroso - e, a mio avviso, destinato a diventare un testo di riferimento in lingua italiana (esemplare il capitolo "Il cerchio della necessità") - l'autrice dimostra come l'«amicizia stellare» tra Nietzsche e il saggista americano, durata
oltre venticinque anni, investa gli assi portanti della filosofia nietzscheana e ne scandisca le tappe fondamentali, mostrando in tutta la sua ampiezza una relazione la cui importanza è stata per lungo tempo sottaciuta; al tempo stesso, la lettura nietzscheana aiuta a scoprire un lato inedito di Emerson, scettico e pragmatista, arricchendo il volto «eroico» della sua filosofia e liberandola dallo stereotipo di un superficiale ottimismo. Beniamino Soressi torna a occuparsi di Emerson curando Realizzare la vita. Saggi da Society and Solitude (Il Prato), che contiene quattro saggi inediti in italiano e quattro ritradotti dopo quasi un secolo, tra cui, appunto, "Coraggio". La questione che questa raccolta vuole sollevare riguarda da vicino il nostro quotidiano, ed è: come realizzare la vita, sia affermandola nelle azioni e nelle concezioni, sia apprezzandone la pienezza nelle percezioni? Si inizi col leggere il saggio sul "Successo"... Sul finire del 2007 Soressi cambia casa editrice ma non l'oggetto del suo interesse; per i tipi di Moretti&Vitali, cura Essere poeta, contenente due saggi di Emerson mai tradotti in italiano - "Poesia e immaginazione" e "Ispirazione" - più il celebre saggio "Il poeta". "Poesia e immaginazione" è uno dei pezzi più brillanti dell'ultimo Emerson, in cui definisce la sua poetica e approfondisce il concetto di poesia studiando da dove essa scaturisce. Con "Ispirazione", invece, riflette sull'origine del poetare ed offre persino un decalogo di consigli pratici («La salute è la prima musa»... ). Infine è di questi mesi l'uscita di un delizioso volumetto, a cura di Nadia Urbinati, in cui sono raccolti sei saggi provenienti da opere diverse di Emerson, e quindi risalenti anche ad epoche
diverse, che hanno in comune il desiderio di mostrare e far cogliere il delicato equilibrio che Emerson ha sempre di più stabilito tra istanze sociali e fiducia in se stessi, tra il bisogno di comunicare e condividere e l'esigenza di isolamento e concentrazione. Società e solitudine, questo il titolo del libro pubblicato da Diabasis, nasce in seno a una nuova collana - La Ginestra - che si propone di raccogliere i classici dell'«individualismo solidale», per (di)mostrare che l'autentico individualismo non significa affatto "egoismo" ma l'esatto contrario, e che la coesione della società non confligge ma va di pari passo con la cura di sé di individui emancipati, ovvero più consapevoli. Emerson pone tutto ciò su uno sfondo metafisico dove è preminente l'idea neoplatonica di una "Superanima" (altro celebre saggio-manifesto presente nel libro) in cui l'essere particolare di ogni uomo è contenuto e reso tutt'uno con gli altri.Mi piace concludere questa breve rassegna citando proprio dal saggio che dà il titolo a questo libro, "Società e solitudine", in cui Emerson, ormai anziano, risolve così il conflitto esistenziale che forse più di tutti, e da sempre, agita l'animo umano: «La solitudine è impraticabile e la socialità è fatale. Dobbiamo tenere la testa nell'una e le mani nell'altra. La condizione per riuscirci è conservare la nostra indipendenza senza perdere la simpatia».Essere, appunto, solidalmente individualisti.____________________________________
Self Reliance. La fiducia in se stessi, A cura di Marco Sioli, Ibis, Como 2003
Dalla Sicilia alle Alpi
A cura di Marco Sioli, Ibis, Como 2003
Diventa chi sei. Fiducia in se stessi, Compensazione, Leggi spirituali
Diventa chi sei. Fiducia in se stessi, Compensazione, Leggi spirituali
A cura di Stefano Paolucci, Donzelli, Roma 2005
Lo studioso americano e altri saggi
Lo studioso americano e altri saggi
A cura di Vito Amoruso, B.A. Graphis, Bari 2006
Realizzare la vita. Saggi da Society and Solitude
Realizzare la vita. Saggi da Society and Solitude
A cura di Beniamino Soressi, Il Prato, Padova 2006
Essere poeta
Essere poeta
A cura di Beniamino Soressi, Moretti&Vitali, Bergamo 2007
Società e solitudine
Società e solitudine
A cura di Nadia Urbinati, Diabasis, Reggio Emilia 2008
Su questi temi si vedano anche:

Se in Italia c'è libertà di lettura, allora sono qui a rivendicare una qual certa pari dignità tra autori che, per valore, non vedo così abissalmente distanti come i dati editoriali paiono affermare. Anzi... per me Emerson rappresenta una voce nuova che meriterebbe d'essere ascoltata. [...]
La lingua di Emerson è limpida come quella di un classico latino e incisiva come un aforisma di Nietzsche o di Montaigne, tanto che in certi passi riesce a lambire il grande stile. Con questi ultimi condivide un pensare antiaccademico, errabondo, un idealismo concreto. Vista nel suo complesso, questa inedita impresa filosofica è una traversata – tentata un secolo prima di Heidegger e quando Nietzsche era un imberbe ragazzino – del pelago del nichilismo, oltre quello Schopenhauer e quel buddhismo rinunciatario la cui ombra incombeva sull’anima dell’occidente. E, se mai esisterà terraferma, Emerson sembra approdare a una sorta di nuovo rinascimento.
È pur vero, infatti, che anche il Padreterno non ha mai letto un libro ma ne ha scritto uno. Nel quale ci indica l´infallibile via per vivere in pace. E da come va il mondo si capisce, ancora una volta, che nessuno lo ha letto. Sì, nessuno legge più. Nemmeno i coretori di bozze (se troverai scritto correttori con una sola "R" e una sola "T", ciò ne sarà la riprova). Quindi, amato lettore, che Dio ti benedica ancora! Poiché tu stai leggendo. E una sceneggiatura, per giunta! E cos'è una sceneggiatura? Lo sceneggiatore è come lo Spirito Santo. Colui che ha soffiato nell'animo di Dio tutte le trame, gli intrecci, le battute e ha letto l'Eternità per poi scrivere quello che l'autore ha realizzato in sette giorni. E ora noi non facciamo che ripetere. Forse per questo nessuno legge più. Perché tutto è già stato detto. E anche che tutto è già stato detto è già stato detto. Non c'è nulla di nuovo sotto il sole, diceva Qohélet. E allora forse bisognerà andare a vedere cosa c'è sopra il sole per trovare una novità. Ma la novità, ha detto Prévert, è la cosa più vecchia che ci sia. E allora proviamo a rinnovarci con l'avanguardia. Ma Gore Vidal ha detto che al mondo tutto cambia tranne l'avanguardia. E allora? Che fare?, come diceva Lenin. Ah! Non se ne esce. Mi verrebbe da imprecare e urlare: "Merda!" se non dovessi pagare i diritti d'autore a Cambronne. Ma tu, lettore beato, che non hai nulla da fare, puoi ben credermi se ti dico che questa sceneggiatura, figlia com'è del mio pensiero, è la più bella, la più brillante, la più geniale che si possa immaginare. Però non ho potuto sfuggire alle leggi della natura, e in natura ogni cosa ne produce un'altra simile a sé. L'autore deve soltanto giovarsi dell'imitazione; e tanto più perfetta sarà l'imitazione, tanto migliore sarà quel che scriverà (Miguel de Cervantes, Don Chisciotte, I, Prologo). Addirittura Picasso ha detto: "Io non imito, copio". E allora, caro lettore, goditela questa meravigliosa sceneggiatura che, come ogni seria opera d'arte, narra la genesi della propria creazione, come dice Jakobson. Sì, perché anche noi abbiamo copiato tutto in questa sceneggiatura scritta, come direbbe Vincenzo Cerami, a quattro mani con Roberto Benigni. Ormai siamo diventati tutti come la dea Eco, quella che non sa parlare per prima, che non può tacere quando le si parla, che ripete solamente i suoni della voce che la colpisce, ha detto Ovidio. E quindi ha ragione Karl Kraus quando scrive: chi ha qualcosa da dire si faccia avanti e taccia! Ed è lo stesso Kraus a sostenere che la lingua è un sistema di citazioni. E io lo cito! Voglio fare come Henry James, che meravigliosamente ha detto: la mia mente è talmente pura che non è stata mai sporcata da un'idea.
Anche Walter Benjamin sognava di pubblicare un libro interamente fatto di citazioni. "A me manca l'originalità necessaria", gli ha risposto George Steiner. Però sarebbe piaciuto perfino a lui. Infatti, subito dopo il creatore di una buona frase viene, in ordine di merito, il primo che lo cita. E anche se qualcuno può non essere d'accordo con questo pensiero di Ralph W. Emerson, come per esempio Roland Barthes che dice che non si può riprodurre ciò che è stato detto senza provare un certo senso di colpa, è pur vero che il semplice prelevamento di una citazione, la scelta nella quale la inserisco, il taglio che le dò, la trasforma e la fa diventare mia, come ha osservato Michel Butor. Altrimenti cosa farebbero autori come Paul Celan, che ha detto: "Non ho mai saputo inventare"? E tu, caro lettore, credo che sarai d'accordo con me. Anche perché le obiezioni spesso nascono dal fatto che chi le fa non è stato lui a trovare l'idea che attacca. E infatti io non ho nulla da obiettare a questa idea che ho appena esposto di Paul Valéry. Proprio per questo non mi sfiora neanche l'idea di avere delle idee, perché oltre a essere attaccati ci si mette anche nella condizione di essere citati, tanto per citare un pensiero di Jean Rostand. No, no, sono d'accordo con Morselli: voglio conoscere solo quello che so già. Soprattutto perché sono sicuro che se qualcuno oggi dice qualcosa di nuovo vuol dire che l'ha letto da qualche altra parte, ho letto in un libro di Kraus. Va bene, finisco qui perché ricordo che agli ambasciatori di Samo che avevano tenuto un lungo discorso, gli Spartani dissero: abbiamo dimenticato il principio e perciò non abbiamo capito la conclusione. Questo almeno racconta Plutarco. Il lettore mi perdonerà e sarà finalmente libero di leggere questa meravigliosa storia dove, come ha confessato il divo Eco a proposito di Il nome della rosa, non c'è una parola di mio. E con questo, caro lettore, concludo. Dio ti dia salute e non si scordi di me. Vale.P. S. L'ultima frase è ancora di Cervantes (Don Chisciotte, I, Prologo), citata da Stendhal in Il rosso e il nero.
Geniale erede del romanticismo tedesco e inglese, non privo di alcune affinità di pensiero col nostro Leopardi, Emerson vede nella poesia l' essenza stessa della natura e la verità ultima dell' esperienza. Tutto il mondo, al quale il senso comune guarda come a una realtà finale, è invece una vasta rete di tropi che si colgono solo attraverso la «seconda vista» dell' immaginazione, poiché «ogni pensare è un fare analogie, e la vita si vive per imparare la metonimia». Emerson si spinge fino a un' affermazione che volentieri sottoscriviamo: logici, filosofi e critici non sono che poeti falliti. Tali e simili concetti sono illustrati nella prima parte di Rinascimento americano di F.O. Matthiessen: un classico e magnifico libro, la cui traduzione italiana, patrocinata da Cesare Pavese ed eseguita da Franco Lucentini, incomprensibilmente non si ristampa più da decenni. Mario Andrea Rigoni
"Socialità e solitudine – dice Emerson – sono nomi ingannevoli"; l'unione delle anime è, sostanzialmente, di natura divina. Qui emerge l'ispirazione prettamente romantica della filosofia di Emerson, improntata alla ricerca dell'infinito nel finito: mentre Fichte la risolveva con l'attività del soggetto infinito, Schelling con l'assoluta indifferenza di soggettività e oggettività e Hegel con l'identità della razionalità e della realtà nella storia, il filosofo americano affronta la medesima questione rintracciando nell'individuo l'anima del tutto, l'eterno Uno, la Superanima. Non c'è barriera o confine, dunque, tra soggetto umano e Dio. Ma questa unione con Dio non nasce dagli artifizi intellettualistici, bensì dalla semplicità e dalla naturalità: in tal modo Emerson, pur riprendendo la filosofia romantica e idealistica europea, ribadisce l'anti-intellettualismo e l'antieuropeismo quali fattori fondamentali dell'americanismo.


Questo aristocratismo di ritorno - in fondo connivente con la catastrofe - è al contrario sconosciuto negli Stati Uniti. In questo paese l'«essere di massa» è stato considerato fin da subito il banco di prova in un certo senso naturale dell'individualismo moderno: al punto che lo specifico individualismo collegato alla cosiddetta civiltà dei consumi, del cui avvento si potrà parlare in Europa solo a partire dal secondo dopoguerra fino ai giorni nostri, sarà vissuto per lo più come un'americanizzazione del vecchio continente.Un pastore della societàPer cogliere la differenza è sufficiente sfogliare le pagine di Emerson. Come nota Nadia Urbinati nel saggio introduttivo, Emerson può essere considerato l'antesignano di una linea di pensiero che, passando per il pragmatismo di William James e Dewey, arriva fino a John Rawls e alla sua teoria della giustizia distributiva. Il punto centrale consiste qui nell'idea che ciascuno ha da essere considerato niente di più che un individuo, senza tener conto di alcuna prerogativa di nascita o di status, mentre al tempo stesso soltanto nel riconoscimento delle sue capacità entro un contesto sociale è possibile la sua autentica affermazione. In altre parole, è l'idea del cittad
Tutti i diritti, anzi, dovrebbero essere impegnati a proteggere l’uomo dalla crudeltà perché la crudeltà è il più crudele dei mali. Ispira paura e la paura distrugge la libertà.In particolare il sistema liberale deve prevenire dalla paura creata da atti di forza arbitrari, inaspettati e non necessari perpetrati dallo Stato, per esempio azioni di crudeltà, soprusi e torture eseguiti da corpi istituzionali come esercito, polizia e servizi segreti. In uno stato liberale non si dovrebbe aver paura della tortura perché la tortura non vi dovrebbe esistere, affermava Judith Shklar, mostrando, ahimé, non grande lungimiranza proprio rispetto al suo paese di adozione, gli Stati Uniti. Ma a parte il ritorno della tortura e continuando a sviluppare l’intuizione di Shklar, il liberalismo che previene dalla paura e che elimina la paura in che rapporto si pone con il coraggio?È questo il punto che vorrei affrontare, 













La nuova traduzione di una delle sue opere fondamentali (Condotta di vita, introduzione di Giorgio Mariani, traduzione e cura di Beniamino Soressi, Rubbettino Editore, 309 pagg., 24 euro) ha il merito di riproporre al lettore italiano l’importanza di un pensatore che appartiene al ristretto novero di quegli scrittori (tra cui Hawthorne, Melville, Thoreau, Whitman, che nei primi anni Cinquanta del Diciannovesimo secolo rappresentarono ciò che è stato chiamato il “Rinascimento Americano”.
Egli tentata una mediazione, di fatto ben riuscita, fra un pragmatismo che vuole risolvere i problemi dell’esistenza concreta senza farsi troppo imbrigliare dalle prescrizioni morali e un eticismo che prospetta soluzioni pratiche avendo come riferimento costante i principi morali. La via mediana di Emerson è una filosofia pratica che trae insegnamento sia dalle situazioni della vita sociale sia dalle riflessioni della metafisica, che cerca di conservare un difficile equilibrio fra l’accettazione della potenza naturale e l’esigenza di miglioramento dell’essere umano, come pure fra onnipotenza divina e scelte umane. Il suo è un universo dinamico, il cui movimento è dato dalla tensione fra forze contrapposte (fato e volontà, natura e cultura, pietas e violenza, ecc.), un universo in cui si fondono l’elemento tragico e quello armonico. Sul piano gnoseologico, egli medita nel solco del binomio tracciato da Goethe: “poesia e conoscenza”, poesia come conoscenza, come metafisica: “la poesia è il perpetuo sforzo di esprimere lo spirito della cosa e cercare la ragione che ne causa l’esistenza”. E, come Hölderlin, ritiene che la poesia sia il fondamento del mondo: “ciò che resta, lo fondano i poeti”, recita infatti il verso hölderliniano. Un tributo al di sopra di ogni sospetto alla grandezza del pensatore americano venne da Nietzsche. Nonostante nel 1876 consideri le ultime opere di Emerson come frutto di un pensatore “alquanto invecchiato e troppo innamorato della vita”.