mercoledì 8 luglio 2009

La grande poesia di Ralph Waldo Emerson

Opera dello scrittore nordamericano Ralph Waldo Emerson (1803-1882), pubblicata a Boston e Londra nel 1847. Alcune poesie furono ripubblicate nelle raccolte seguenti Giorno di maggio e altre composizioni [May-Day and Other Poems, 1867], Poesie Scelte [Selected Poems] che è il IX vol. della ediz. di tutte le opere del 1876, mentre le poesie escluse da questa raccolta furono pubblicate nel 1912 da Charles C. Bigelow.

In una lettera alla moglie nel 1835 Emerson dice: "io nacqui poeta, senza dubbio un poeta di second'ordine, ma tuttavia poeta. Questa è la mia natura e la mia vocazione. Il mio canto è certamente aspro e per la maggior parte in prosa. Tuttavia io sono un poeta in quanto percepisco e amo le armonie che esistono nella materia e nello spirito e specialmente le corrispondenze tra queste e quelle". È forse la migliore definizione della personalità dello Emerson, nebuloso filosofo e in primo luogo poeta; e poeta di un mondo essenzialmente etico e religioso; che si sentiva destinato a dar voce alle verità della natura e dello spirito e farsene maestro al mondo; trasfigurazione trascendentalista e bostoniana del Romanticismo inglese del Wordsworth e dello Shelley.



Emerson scrisse versi durante tutta la sua vita; molte poesie apparvero nel "Dial", molte furono composte come motto introduttivo alle sue conferenze. "Giorno di maggio", poemetto di circa 500 versi è la identificazione romantica natura - bellezza - elevazione morale dell'uomo.


Da una ispirata descrizione iniziale ("Figlia della Terra e del Cielo, - Primavera ritrosa - Languente di improvvisa passione - Insegna il sorriso a sterili brughiere"), attraverso alti e bassi di lirico abbandono e voluta prosastica freddezza ("La Primavera è forte e virtuosa, - Semina largamente, gaia, con abbondanza - Urge sotto la zolla - Granelli che valgono più dell'oro"), conclude nel momento riflessivo-didattico; la primavera è invocata quale braccio e architetto di Dio, destinata a correggere difetti e ricostruire dalle rovine nella natura e nello spirito dell'uomo ("Passo passo tu inalzi il male al bene - Elevi il bene al meglio - Pianti semi di pura conoscenza" ecc.). Lo stesso schema seguono quasi tutte le poesie di Emerson; qualche volta la riflessione prevale; a volte il momento descrittivo ha particolare rilievo, come per esempio in "Rhodora", che è considerata una delle poesie meglio riuscite, il cui substrato lirico è lo stesso dei "Daffodils" di Wordsworth.
In maggio, quando i venti marini invadono le nordiche solitudini della Nuova Inghilterra, il poeta trova la fresca rhodora nei boschi, che ravviva con la sua bellezza l'acqua degli stagni, se qualcuno dovesse chiedere come mai la grazia di questo fiore sia così sprecata, non vista da nessuno, all'infuori del bosco e del cielo, la risposta sarà questa - dice il poeta - che la Bellezza ha in sé la sua ragione di esistere; egli non sa perché il fiore sia sbocciato in quel luogo, ma nella sua ingenua ignoranza suppone che la medesima divina Potenza progettò quell'incontro del fiore e del poeta. Notevoli la concretezza di ogni particolare, la estrema sobrietà della parte riflessiva e il vivo colore locale.
Questa breve poesia - dice il Matthiessen - potrebbe essere una illustrazione del capitolo "Bellezza" nel saggio "Natura", che comincia con l'affermazione che "la mera percezione delle forme naturali è godimento". Lo stesso concetto tipicamente romantico sta alla base di "Nevicata" ["Snow-Storm"] la cui imperfetta oggettivazione esce a volte in espressioni astratte quali "l'allegra architettura della neve" e "il tumultuoso isolamento (privacy) della tormenta".



In altre composizioni la riflessione si fa ella stessa soggetto di poesia. Un esempio perfettamente riuscito è "Brahma", in cui il concetto dell'eterna presenza del Dio nella natura e nelle azioni degli uomini si alterna con il concetto della irrealtà della esperienza puntuale, per cui non vi è distinzione tra passato e presente, l'ombra e la luce sono la stessa cosa, ritornano gli Dei delle morte religioni e una sola realtà sono la gloria e l'infamia: di qui il nessuno valore della conoscenza e la soluzione del problema umano sul piano etico ("Ma tu, o mite amante del bene! - Trovami, e volgi le spalle al cielo").
Altrettanto simbolica e intensamente poetica "I Giorni" ["Days"], tutta imagini visive; figli del tempo gli ipocriti giorni, come stanchi dervisci muti e assorti, e marciando senza fine in fila indiana, offrono a ciascuno il dono che egli desidera, pane, cielo, stelle, regni. Il poeta nel suo chiuso giardino li vede passare, dimentica i desideri del mattino, in fretta prende poche mele ed erbe, e intanto il giorno volge alla fine e se ne va in silenzio; troppo tardi egli vede lo scherno sotto la sua benda. Il senso della vita sprecata è un vecchio concetto emersoniano; la vita è solo preparazione a vivere perché quando si è in grado di poter vivere pienamente, ecco che viene la fine. È il concetto del saggio "Le Opere e i Giorni" ["Works and Days"], giorni che scivolano via senza concretarsi in opere. Questi versi sorsero nella mente del poeta contemporaneamente alla visione della processione orientale, e a essi si potrebbe applicare la definizione che lo Emerson dà della poesia "Fini involontari raggiunti con mezzi involontari".

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