martedì 7 luglio 2009

Alle origini di Nietzsche: Ralph Waldo Emerson

Di Miro Renzaglia
http://www.mirorenzaglia.org/?p=6526

Pare un segno del destino il rapporto di Nietzsche con il pensatore americano Ralph Waldo Emerson. Innanzitutto per una biografia che li unisce in alcuni tratti fondamentali: entrambi figli di un pastore, persero il padre in età giovanissima; presero quindi inevitabilmente le mosse dal pensiero morale, in una chiave critico-positiva. Entrambi coltivano fin da giovane età una vocazione poetica che muove poi libera nei loro scritti filosofico morali. Entrambi, pur in maniera diversa, incalzano la necessità di un contrasto, forte, genuino, vitale, all’era della decàdence. Il tema dell’energia vitale insomma, della forza morale, che si ritroverà transvalutato in Nietzsche, è già presente in Emerson, la lettura del quale divenne una costante a fasi alterne per il filosofo prussiano.
Non è però di un semplice parallelismo biografico ciò di cui si deve parlare, tantomeno per vedere quali siano i debiti di Nietzsche verso il suo maestro. Non voglio certo ridurre a così poco la questione come è stato fatto in questo articolo del “Corriere” del settembre scorso, in occasione della ristampa di Condotta di vita, uno dei capolavori finalmente tradotto e ristampato, dopo una assenza risalente addirittura al 1926.
Se pur si mettono in luce delle giuste - ma troppo rigide e schematiche differenze (”reazionario” uno, “progressista” l’altro) e similitudini (il disprezzo dell’individualismo delle masse, i valori vitali,…), allo stesso tempo viene banalizzato il rapporto quasi a dei semplici, ingenui, intellettualismi, o ancor peggio, perfettamente delineato nel finale dell’articolo, idealismi incompiuti alla don Chisciotte. Ma già dal titolo si capiscono le idee di fondo della scrittrice: con tutte le buone intenzioni, cosa si può intendere parlando di ombra e influenza, parole che indubbiamente non fanno il caso ne dell’uno dell’altro? In verità, ancor più di una semplice influenza intellettuale, il rapporto tra i due, per noi lettori, origina un confronto, una rielaborazione che ha il pregio di aprire un pertugio verso quei principi che Evola ha definito come appartenenti alla Tradizione senza tempo della sapienza originaria. In Emerson, l’amore immanente per il creato di un cristianesimo evoluto, sottratto al peso della croce, e trascendente, si uniscono agli echi delle muse, in una rivalutazione ‘pagana’ del senso - e non a caso fu condannato per eresia teologica dal clero del tempo.
La ricerca di una spiritualità originaria - di una moralità riscoperta nel miracolo di una nuova a-letheia, vuole trasferirsi nella pragmaticità del corpo: non considerato alla stregua positivista come unico dato della conoscenza ma nuovamente riconciliato con la vita nella sua sacralità, carnale e non. Con ciò il suo pensiero è ben lungi dal finire in quell’ascetismo del prete-scienziato giustamente vivisezionato da Nietzsche. Anzi: in Emerson la spiritualità diventa vitalismo, diventa dominio e superamento dell’ego, fiducia nell’energia vitale come unico strumento di realizzazione della vita; e a volte pare quasi un preludio al futurismo: “Nuovi continenti sorgono dalle rovine di un antico pianeta, nuove razze si nutrono della decomposizione di razze trapassate, nuove arti distruggono le antiche”.
Ma “Il mondo è degli energici” è una delle sue frasi più celebri e risolutrici. Non contemplazione fine a se stessa o fuga dalla realtà ma spiritualità avvolgente la vita partendo dai rapporti interpersonali. E’ nota perciò la sua attività di conferenziere: egli amava la discussione, la socialità, e considerava la saggezza come interna a tutti gli uomini. Da qualunque uomo (e da nessuno…) c’è da imparare, non solo, ad esempio, dall’artista: quest’ultimo è anzi colui che, più che la saggezza, ha gli strumenti per esprimerla, in un quadro, in una poesia, in una musica. L’artista è colui che sa attingere dalla saggezza originaria trasformando ciò in materia comprensibile all’uomo, rendendola universale, oltrepassando i confini dell’io.
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